L’omicidio di Pasquale Aquino, i traffici di droga e le turbolenze interne ai gruppi criminali della Sibaritide nelle dichiarazioni di Francesco Cufone poi ritrattate subito prima di togliersi la vita in carcere
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Tre interrogatori, resi tra marzo e giugno del 2023, pieni zeppi di confessioni che rimandano a omicidi, pestaggi, armi e droga. Sono verbali drammatici quelli sottoscritti da Francesco Cufone davanti al pm della Dda di Catanzaro, Alessandro Riello; non solo perché, alla fine della corsa, l’allora 33enne di Corigliano Rossano si pente di essersi pentito, ma perché a sole 24 ore dalla sua ritrattazione, annoda le lenzuola alla finestra della sua cella e pone fine così ai suoi giorni terreni.
A quasi due anni da quella tragedia, quei documenti sono transitati nel processo che tenta di far luce sull’omicidio di Pasquale Aquino commesso il 3 maggio del 2022 a Schiavonea da due sicari in sella ad altrettante biciclette. Uno di loro sarebbe un diciassettenne di origine romena ora a giudizio davanti al Tribunale dei minori; l’altro invece è individuato in Francesco Le Pera, 24 anni, mentre Giorgio Arturi (41) e a Manuel Intrieri alias “Zuzù” (23), avrebbero fatto da palo, segnalando ai due ciclisti assassini la presenza del bersaglio sul luogo poi prescelto per l’agguato.
Un delitto maturato «per ragioni legate al narcotraffico» spiegava Cufone ai magistrati, indicando Le Pera e il giovane romeno come esecutori materiali. «Si faceva chiamare il killer e si vantava di aver ucciso lui Aquino» sostiene in quelle ore l’aspirante collaboratore di giustizia a proposito di Le Pera a cui, dopo un’iniziale reticenza, ammette di essere stato legato nell’ambito dello spaccio di cocaina. La svolta in negativo, per lui, si consuma il 6 agosto del 2022, data del ritrovamento del piccolo arsenale di via Varsavia; un carico di fucili, pistole e munizioni custodite in un casolare a cui i carabinieri arrivano seguendo proprio Le Pera che, dopo il sequestro, mostrerà tutta la sua preoccupazione al telefono senza sapere di essere ormai intercettato. Ha più di un motivo per agitarsi: da quel mucchietto di armi, infatti, salteranno fuori anche la pistola Browning e la mitraglietta Skorpio impiegate per uccidere Aquino.
Cufone assiste a tutte le fasi del rinvenimento e avverte l’amico in tempo reale, ma così facendo, finisce per accendere i riflettori investigativi anche su sé stesso. In seguito, dichiarerà di non aver saputo, all’epoca, che in quell’edificio vi fossero nascoste delle armi; pensava vi fosse solo cocaina, ma poi correggerà nuovamente il tiro, ammettendo che anche lui era a conoscenza di quel deposito scottante. «Sarebbero servite per compiere una guerra» è la sua aggiunta sulfurea, ma non meglio precisato. Quale guerra e contro chi? Cufone non può dirlo perché dei «progetti futuri» del gruppo di Fabrizio, lui non era al corrente.
E si arriva così alla data fatidica del 14 giugno 2023. «Voglio ritrattare, le cose me le sono inventate, volevo solo uscire dal carcere» esordisce Cofone. Riello gli contesta che, solo un minuto prima, aveva manifestato l’idea di fare dietrofront perché, a seguito della divulgazione delle sue confessioni, aveva paura per l’incolumità dei suoi familiari. Il diretto interessato tenta di giustificarsi: «Io ho sempre avuto paura per loro, da quando sono entrato in carcere» e quando il pubblico ministero lo incalza, lui taglia corto: «Voglio ritrattare!». Quelle saranno anche le sue ultime parole.