«Tre anni fa nel mese di settembre/ottobre 2015 ho ricevuto in prestito dal signor Antonio Franco 3mila euro in contanti, in banconote di vario taglio, con la promessa di restituirglieli entro 30 giorni, aggiungendo 150 euro. Se allo scadere del mese non fossi riuscito a restituirgli i 3mila euro gli avrei dato comunque i 150 euro, con l’accordo che avrei continuato a corrispondergli ogni mese ulteriori 150 euro, fino a quando non fossi stato in grado di restituire pure i 3mila euro iniziali. In qualche occasione non sono riuscito a dare neanche i 150 euro al mese, ma mi sono sdebitato dandogli un poco di frutta gratuitamente. Ancora oggi non sono riuscito a restituire l’intero importo iniziale, ma continuo a pagare alla fine di ogni mese dall’anno 2015 fino ad oggi i 150 euro pattuiti, salvo le volte in cui, come ho detto prima, pagavo con della frutta o ortaggi vari che gli davo gratis per cercare di sdebitarmi comunque».

È il 2 novembre del 2018 e a parlare davanti agli investigatori è un commerciante di Le Castella, frazione del comune di Isola di Capo Rizzuto. È una delle poche vittime di usura che ha collaborato alle indagini della Guardia di finanza di Crotone, coordinate dalla Dda di Catanzaro sfociate questa mattina nell’arresto di cinque persone, tra cui Antonio Franco, 45enne isolitano al quale si riferisce il commerciante, nei confronti del quale sono stati disposti gli arresti domiciliari.

Le intimidazioni alle vittime

Sono tre, invece, gli episodi di usura contestati a Giuseppe Turrà, 51enne di Cutro, finito in carcere, uno dei quali in concorso con Salvatore Lorenzano, cutrese di 43 anni, posto ai domiciliari, che avrebbe “ereditato” l’attività di riscossione dal padre, Francesco, deceduto. In particolare, secondo gli inquirenti Lorenzano «faceva da intermediario con la vittima avvalendosi dello stato di intimidazione derivante dalla vicinanza di Turrà alle cosche di ‘ndrangheta operanti nel territorio di Cutro - o, comunque, agendo nell’interesse di tali cosche» si legge nel provvedimento firmato dal gip distrettuale Francesco Vittorio Rinaldi.

Secondo quanto documentato, infatti, Lorenzano avrebbe fatto da mediatore con un imprenditore che nel 2013 aveva ricevuto in prestito da Turrà 5mila euro «impegnandosi a restituire mensilmente il denaro, versando la somma di 500 euro a titolo di interessi». Un debito che la vittima, in evidenti difficoltà economiche, non riusciva ad estinguere, tant’è che nel 2018 era ancora pressata dalle richieste di pagamento da parte di Lorenzano, accompagnate da minacce. In una conversazione con l’imprenditore, riferendosi a Turrà, Lorenzano intimidisce l’interlocutore dicendo: «Mi ha chiamato oggi anzi un’ora fa e dice che se no saliva. Te lo sto fermando io, quindi vedi che caz… devi combinare…». Parole che secondo gli inquirenti lasciavano intendere che «se non avesse provveduto al più presto, il creditore sarebbe intervenuto personalmente, ipotesi, questa, scongiurata» grazie all’intervento dell’intermediario.

Mobili al posto dei soldi

Non solo usura, a Turrà viene contestato anche il reato di esercizio abusivo del credito «per avere erogato, in assenza di autorizzazione e senza essere iscritto in uno degli elenchi disciplinati dal d.lgs nr. 385/1993, prestiti nei confronti di un numero indeterminato di persone, di cui quattro positivamente individuate».

Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, emergono le assillanti richieste di incontro di Turrà con i suoi debitori, spesso in difficoltà nel restituire le somme ricevute in prestito: «Che pensi che mi prendi per fesso a me tu … vedi che sotto casa tua vengo» dice con particolare spregiudicatezza. Si mostra più “morbido”, invece, con un commerciante di mobili, che sarebbe riuscito a compensare parte del debito con la «cessione di arredi ed elettrodomestici»: «A me li sconta a mobili, me li sconta a cose» dice in una intercettazione.

Linguaggio in codice

Preoccupati di eventuali indagini in corso, gli indagati cercavano di sviare gli inquirenti utilizzando linguaggi in codice, soprattutto durante le conversazioni telefoniche. I soldi da consegnare al creditore, diventavano così prodotti alimentari o animali. «Voleva cinquecento cavalli» dice una delle vittime conversando con un familiare, evidentemente riferendosi a 500 euro. «Quando me lo porti l’olio?» chiede invece Turrà a un commerciante in debito con lui, che risponde: «…è per l'olio che ti porto il caffè e quel formaggio... ti porto un quintale di olio». In altre intercettazioni, si parla invece di cuccioli, fascicoli, documenti.

«Mi avete rovinato la vita»

Nel giro di affari illeciti, anche Antonio e Domenico Grande, padre e figlio di 67 e 42 anni: il primo posto ai domiciliari, l’altro trasferito in carcere. I due avrebbero concesso in prestito a un commerciante una somma pari a 70mila euro, maggiorata da interessi annuali pari al 54%. Anche in questo caso la vittima avrebbe avuto difficoltà nel far fronte al debito, ricevendo pressioni e minacce.

È il giovane Grande, in particolare, a utilizzare per il gip «esternazioni di tipica matrice mafiosa» con il malcapitato: «Mi devi dare i soldi... sennò mi dai il magazzino... mi vendi la casa... fai una cosa... invece di andare a pagare 800 euro di affitto di casa...(inc.)... 600 euro me li mandi a me... (…) sei un miserabile perché io non mi permetto di andare a casa delle persone... mi prendo i soldi». L’interlocutore, però, risponde a tono: «Io faccio in questa maniera? ... e tuo padre come se li prende i soldi dalle persone... ad usura... in questa maniera... e tuo padre è onesto?... che tu parli di miserabile...perché voi siete onesti?... ma che ca..o stai raccontando ... è finita Domè... quelli che mi hai dato te li ho dati... e rassegnati».

La conversazione, infine, si chiude con l’amaro sfogo della vittima: «Che da quando io so caduto in depressione... è grazie a tuo padre... che mi ha rovinato la vita...».