VIDEO | Il professionista finito in carcere si chiama Tiberio Sorrenti. I particolari dell'operazione interforze sono stati resi noti dagli inquirenti nel corso di una conferenza stampa tenuta in prefettura a Reggio Calabria
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È un commercialista il regista occulto che avrebbe permesso alla cosca Pesce di Rosarno di infiltrarsi in ogni settore economico nella Piana di Gioia Tauro. Dai lavori nel porto di Gioia Tauro, al controllo dei trasporti nella grande distribuzione di prodotti alimentari fino all’imposizione del pizzo nelle compravendite immobiliari.
Questo quanto sostenuto dagli inquirenti nel corso della conferenza stampa tenuta in prefettura a Reggio Calabria nella quale gli inquirenti hanno fatto il punto sull’inchiesta che, questa mattina, ha portato all’esecuzione di 53 misure cautelare. Un’operazione che hanno inferto un altro duro colpo alla cosca Pesce di Rosarno dopo quelle eseguite negli ultimi anni.
Il commercialista 'ndranghetista
Il commercialista Tiberio Sorrenti, secondo magistrati e vertici delle forze di polizia, avrebbe «svolto il ruolo di mediatore tra cosca e imprenditori. Si tratta di un professionista organico alla 'ndrangheta – ha detto il procuratore di Reggio Giovanni Bombardieri, che ha addirittura mediato tra anime della cosca quando c’era conflittualità».
Più nello specifico è sceso il colonnello della guardia di finanza Maurizio Cintura: «Il commercialista di Rosarno è stato il regista di tutte le attività di gestione e schermatura tra gruppo imprenditoriale, padroncini e cosca Pesce. Un lavoro che ha permesso di rinforzare il ruolo del clan permettendo di infiltrarsi nelle attività economiche». Sorrenti, spiegano gli inquirenti, aveva ampia autonomia, avendo anche la capacità appianare eventuali disaccordi con altre cosche. «A casa del commercialista – ha concluso Cintura – sono stati sequestrati 50mila euro».
«Il commercialista – ha aggiunto il colonello del Ros Pasquale Sasso Iovine – è un professionista affiliato, che riscuoteva anche proventi estorsivi che poi distribuiva ai referenti della cosca. Era una sorta di garante degli interessi delle cosche e di alcuni imprenditori, quest’ultimo alcune volte vittime altre volte collusi. Aveva autonomia nel modulare le richieste dei Pesce con le ditte che dovevano lavorare. Nel suo studio sono state effettuate riunioni per derimere divergenze nella cosca sulle estorsioni e sulle parti da dare ai carcerati, o per mediare con altre cosche quando gli affari avvenivano in un altro comune».
Padroni del mercato immobiliare
«Questa operazione – ha spiegato il procuratore Bombardieri è stata condotta da carabinieri, squadra mobile e finanza, ognuno su un filone di indagine diverso, tutti poi confluiti in un'unica ordinanza. Uno di questi filoni nasce dopo l’operazione Recherche che si concentrava su cattura del boss Marcello Pesce. Nella prosecuzione dell’inchiesta è emerso come la cosca Pesce si sia avvalsa anche di un commercialista che ha svolto il ruolo di mediatore tra cosca e imprenditori. Un professionista organico alla 'ndrangheta».
«L’operazione costituisce la riproposizione di un modello di indagine ormai consolidato ha spiegato il procuratore aggiunto Paci – C’è sempre una prosecuzione tra un’operazione e l’altra. Tra i tanti soggetti colpiti dalla misura, infatti, ci sono persone note alla nomenclatura della 'ndrangheta, ma anche nuove leve che nel frattempo avevano iniziato il loro percorso criminale e grazie alle inchieste abbiamo almeno temporaneamente interrotto. In questo continuo succedersi di leve criminali a farne le spese sono gli imprenditori intimiditi e taglieggiati: dalla cessione di immobili, alla guardiania, al sistema dei trasporti e della grande distribuzione alimentare nella quale pesce e Bellocco si sono ormai infiltrati già da tempo. Invitiamo gli imprenditori di denunciare».
Il ruolo di Antonino Pesce
«La Squadra mobile – ha aggiunto il questore Bruno Megale – ha portato a termine un’indagine complessa, coordinata dalla Dda, ed ha eseguito 49 misure cautelare contro le cosche Pesce e Bellocco. Un indagato è all’estero, mentre un altro non è stato ancora trovato. Abbiamo disarticolato un’organizzazione in cui c’erano tante nuove leve e fermato la riorganizzazione della cosca Pesce che aveva ripreso possesso del territorio e soffocato l’economia: dagli appalti pubblici a semplici lavori privati. Nell’indagine abbiamo scoperto anche diverse cessioni di armi e droga: l’organizzazione ruotava intorno ad Antonino Pesce del ’92».
Il controllo della grande distribuzione alimentare
La parte dell’indagine condotta dai carabinieri è stata spiegata dal colonnello Guerrini: «Il Ros dei carabinieri ed il Gico della guardia di finanza si sono occupati degli interessi cosca Pesce nella grande distruzione di generi alimentari, anche grazie a un’agenzia di trasporti apparentemente pulita».
La "signoria" dei Pesce
«L’indagine – ha aggiunto il dirigente della Squadra mobile Francesco Rattà - è davvero composita, così come è l’assetto e il programma della cosca Pesce. Siamo partiti cercando Marcello Pesce e poi Antonino Pesce. Così siamo riusciti a portare alla luce uno spaccato inquietante, quello delle dinamiche criminali che caratterizzano questa cosca storica. L’indagine della polizia ha accertato che le estorsioni venivano fatte a tappeto e in danno di chiunque. I Pesce attuavano un’azione estorsiva sui privati cittadini che acquistavano terreni e che dovevano pagare il pizzo. Attraverso questa tecnica unica, loro riuscivano a controllare il funzionamento stesso dei trasferimenti immobiliari: una vera e propria signoria. Un altro tema riguarda il controllo degli appalti pubblici sulle ditte rifacimento strade, di alcune società di raccolta rifiuti, di realizzazione di un capannone nell’area portuale, del terminal intermodale o della banchina sud del porto. Senza dimenticare le estorsioni ai privati cittadini, il traffico di droga e naturalmente le intestazioni fittizie».
Nell’inchiesta, sono finiti anche alcuni poliziotti, accusati di alcune singole condotte per rivelazioni «episodiche – ha dichiarato il procuratore aggiunto Gaetano Paci – che non hanno alcun nesso con l’inchiesta odierna e che non configurano reati di partecipazione all’associazione mafiosa».