Entrambi sono indagati nell'ambito dell'inchiesta Sistema della Dda di Catanzaro. La vicenda ha origine nel 2016 quando l'amministratore fu vittima di un atto intimidatorio
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Un’altra vicenda che ha suscitato clamore, nell'ambito dell'operazione della Dda di Catanzaro che ha portato a oltre duecento misure cautelari nel Cosentino, è quella riguardante l’avvocato Paolo Pisani, penalista del foro di Cosenza, accusato di aver alterato la testimonianza dell’ex assessore comunale di Rende, Vittorio Toscano, indagato a piede libero, avendo come obiettivo quello di favorire Massimo D’Ambrosio, fratello di Adolfo.
L'origine della vicenda nel 2016
Per capire bene l’intera vicenda ritorniamo al 2016, quando Toscano è vittima di un atto intimidatorio. Ignoti incendiano la sua auto: l’origine è dolosa. Subito dopo l’allora assessore rendese fa il nome di Massimo D’Ambrosio, il quale qualche giorno prima lo avrebbe minacciato sul fatto che l’amministrazione comunale si fosse messa di traverso per la realizzazione della festa della birra (oltre che per il cambio di gestione del bar), e questo, dal suo punto di vista, non era più tollerabile, in quanto anni prima erano sorti problemi per la gestione del bar “Colibrì”, faccenda presente in “Sistema Rende”, dove in ordinario il tribunale di Cosenza ha assolto l’ex sindaco Sandro Principe da tutte le accuse.
Acquisite le dichiarazioni di Toscano, prende forma il procedimento penale con l’indagine a carico di Massimo D’Ambrosio, la cui posizione viene archiviata soltanto per l’incendio, ma lo stesso viene rinviato a giudizio per minacce aggravate dal metodo mafioso.
In questa vicenda sono coinvolti, oltre all’avvocato Pisani, Ivan Montualdista e Massimo D’Ambrosio. L’unica intercettazione che viene contestata al legale cosentino è quella con Montualdista, con il quale si conoscono da vecchia data, e probabilmente avrà suggerito il suo nome a D’Ambrosio.
Nel 2018 Toscano rimette la querela contro Massimo D’Ambrosio
La prima data importante della vicenda? Il 28 marzo 2018. Circa un mese dopo il rinvio a giudizio di Massimo D’Ambrosio, Vittorio Toscano si presenta al comando Compagnia dei carabinieri di Cosenza e rimette la querela. Gli investigatori prendono atto della novità e osservano: «Sono emersi nell’ambito del presente procedimento concreti ed inequivoci elementi di reità in grado di attribuire la materiale esecuzione del danneggiamento della vettura di Vittorio Toscano a Fabiano Ciranno detto “Fabio”. Il fatto de quo risulta inserito in un più ampio disegno criminoso riconducibile a condotte penalmente rilevanti poste in essere da Adolfo D’Ambrosio». Ciranno, in realtà, si accusa dell’incendio, non potendo immaginare di essere in quel momento intercettato.
Un anno e mezzo dopo (14 ottobre 2019) il ritiro della querela, la Dda capta una conversazione tra Montualdista e Paolo Pisani, nella quale il primo chiede l’esito del processo, ma il penalista gli comunica che la sentenza è prevista per il giorno successivo. Gli investigatori mettono in neretto anche la frase con cui Pisani auspica un epilogo favorevole per la difesa, ricordando che ci sarà da chiudere la vicenda con un altro versamento in denaro. Il che rientra nello stato delle cose, visto che alla fine i soldi li sborserà Massimo D’Ambrosio e non Montualdista.
Sempre nella giornata del 14 ottobre 2019, la Dda di Catanzaro ritiene che Montualdista, mentre parlava con Pisani, era insieme a Massimo D’Ambrosio, Adolfo D’Ambrosio e di suo figlio, e di Fabiano “Fabio” Ciranno.
La sentenza assolutoria per Massimo D’Ambrosio
Il 15 ottobre 2019, il tribunale collegiale di Cosenza emette la sentenza di primo grado. Tre giudici assolvono Massimo D’Ambrosio dall’accusa di aver minacciato Vittorio Toscano. La Dda di Catanzaro aveva chiesto quattro anni di carcere per l’imputato. Ma per gli investigatori il provvedimento sarebbe viziato da un’anomalia, ovvero che prima dell’escussione di Vittorio Toscano in tribunale alla presenza delle parti processuali, ci sarebbe stato un incontro nella zona di Paola tra Vittorio Toscano e il suo avvocato, Paolo Pisani e il suo assistito, e infine Montualdista. Ciò si ricava, a dire della Dda, dalla conversazione captata tra i presenti, dove Montualdista dice: «Sì, ma li ha smontati, l’ha smontati tutti Paolo» e Massimo D’Ambrosio ricalcava: «L’ha smontato a lui, lui dice che gli faceva domande, gliel’aveva detto: “Io ti faccio queste domande tu che mi rispondi”» parole riferite a questo presunto incontro lontano da Cosenza.
Dopo aver incassato l’assoluzione, Pisani chiama Montualdista al quale comunica la sentenza favorevole, e illustrando le difficoltà processuali, vista la tenacia della pubblica accusa nell’invocare la condanna, presenta il “conto”. Poi spiega che in realtà la remissione di querela non è servita a nulla rispetto al giudizio del tribunale collegiale di Cosenza, e qui si afferma una prima verità.
La capacità di capire se uno mente o meno
Con o senza la querela contro Massimo D’Ambrosio, il processo sarebbe andato avanti lo stesso, proprio perché il reato individuato dalla Dda, è procedibile d’ufficio. Al netto ciò, si evidenziano due profili. Il controesame dell’avvocato Paolo Pisani, che secondo i magistrati antimafia sarebbe stato alterato dal “summit” precedente”, e la valutazione autonoma del collegio giudicante, al di sopra delle parti.
Il ragionamento è questo: cosa impediva ai giudici di ritenere Vittorio Toscano già all’epoca presunto favoreggiatore del “suo” imputato, avendo ridimensionato la vicenda rispetto alle domande poste dal penalista? Non c’era alcun impedimento. Nel senso che il tribunale poteva non credere alle risposte di Vittorio Toscano, magari anche assolvendo Massimo D’Ambrosio, ma ugualmente inviare gli atti in procura per l’ex assessore rendese per falsa testimonianza.
I giudici infatti sono ben capaci di “percepire” se uno sta mentendo o sta ridimensionando una vicenda che lo riguarda perché potrebbe essere stato avvicinato e minacciato. È successo in passato, anche in processi istruiti della Dda di Catanzaro, poteva accadere anche in questo caso.
Il controesame: le domande del tribunale e quelle dell’avvocato Pisani
Il fatto di aver “smontato lui” si riferisce al controesame (verbo usato anche nel linguaggio giornalistico) riportato in parte alla fine del capitolo, dove vengono richiamate alcune domande del presidente del collegio e quelle dell’avvocato Pisani. «Sapeva chi era il fratello», chiede il presidente. E Toscano: «No… veramente io sapevo che questa persona aveva del legame però non pensavo fosse il fratello. Il cognome mi ha sempre…».
«Lei sapeva che il fratello di D’Ambrosio, o ha saputo successivamente, era comunque detenuto?» domanda Pisani all’ex assessore. «Guardi, io ho letto alcune cose, però non avevo fatto collegamento diretto che era il fratello». E ancora Pisani: «E quando l’ha saputo?», e risponde così la parte offesa: «Eh, quando sono andato dai carabinieri, poi ho fatto l’esposto e mi è stato fatto fare il riconoscimento». Paolo Pisani è difeso dall’avvocato Cesare Badolato. Il gip gli ha applicato il divieto dell’esercizio della professione forense per la durata di un anno. Si attende anche in questo il tribunale del Riesame.