Facevano affari in Piemonte: mani in pasta nei lavori per l’autostrada A32 Torino-Bardonecchia. Ma il loro riferimento saldo era a San Luca, dove le tradizioni della ’ndrangheta assegnano cariche da spendere (anche) nei business del profondo Nord. Giuseppe e Domenico Claudio Pasqua, padre e figlio, avrebbero legato con Roberto Fantini, manager nominato in quota Pd all’Orecol, l’Osservatorio che vigila sulla legalità degli appalti pubblici affidati dalla giunta regionale piemontese. Fantini, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe favorito le infiltrazioni del clan familiare in diversi appalti pubblici. Quell’amicizia avrebbe portato denari pubblici nelle casse della società dei Pasqua, cuore pulsante del Locale di Brandizzo.

Dieci anni di indagini della Dda di Torino hanno documentato l’esistenza di connessioni che si spingono fino in Calabria: legami saldi che portano, nel 2015, Claudio Domenico Pasqua a San Luca. Lì trascorre il mese di agosto che, in quell’area della Locride, si popola di occasioni non banali per chi come lui è in odore di ’ndrangheta. Al suo ritorno, il 2 settembre, il dialogo tra l’uomo e suo padre farebbe emergere, secondo i magistrati della Dda di Torino «ulteriori e inequivocabili elementi» sull’appartenenza dei due alle cosche calabresi.

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Claudio Domenico racconta all’anziano Giuseppe «di essere stato al Santuario della Madonna di Polsi», luogo che – riassumono i magistrati antimafia – riveste un forte valore simbolico nell’iconografia della ’ndrangheta».

La festa della Madonna di Polsi, secondo una letteratura vastissima, è legata «alla riunione del cosiddetto “Crimine” dell’organizzazione e in quell’occasione vengono conferite doti e cariche della consorteria criminale». È proprio ad alcuni passaggi contenuti nell’operazione Crimine che i magistrati torinesi fanno riferimento per illustrare l’importanza della riunione di Polsi. Nell’inchiesta che ha raccontato la seconda fase della penetrazione storica delle ’ndrine al Nord, si ricorda che in quell’assemblea «emergeva il formale conferimento delle cariche di “capo crimine, mastro generale e contabile”, ovvero i massimi vertici dell’associazione mafiosa». Con questa premessa, nell’inchiesta Echidna viene evidenziato un dialogo tra Claudio e Giuseppe Pasqua: il figlio informa il padre di essere andato a Madonna di Polsi il 1° settembre. E Giuseppe risponde che «certamente in quel luogo erano presenti anche altri affiliati». «E li ne hai trovati… ne hai trovati tanti», dice.

«Tutta la costellazione», risponde Claudio Pasqua. E per gli inquirenti la risposta è la conferma che a Polsi «erano presenti i massimi vertici della consorteria mafiosa». La richiesta successiva del padre - «Ti hanno dato qualcosa in più o no?» - serve a capire, sempre secondo l’accusa, se al figlio fosse stata conferita una “dote” mafiosa superiore.

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Di quel viaggio in Calabria i Pasqua discutono ancora: è un racconto che si lega alle nuove amicizie strette nella Locride con uomini che portano cognomi legati a famiglie storiche dell’area. Claudio Pasqua racconta al padre anche le raccomandazioni di uno zio «circa le maggiori responsabilità derivanti dall’attribuzione di una dote più elevata». I rischi non mancano: «Mi dice… vedi, adesso tutti sanno chi sei, sanno il tuo nome. Se qualcuno di questi si pente sei inguaiato». Il padre, da parte sua, suggerisce un comportamento che attenui i pericoli: «Ma tu non parlare a nessuno, te ne stai nel tuo: servi e ti fai servire e basta». Discorsi che sembrano arrivare da una vecchia rappresentazione delle cosche calabresi, da un’epoca in cui si bruciavano i santini nelle campagne. Epoca non del tutto messa in soffitta.

Certi riferimenti non cambiano: gli affari si fanno al Nord ma le gerarchie mafiose si scalano all’ombra di un santuario il cui nome la ’ndrangheta sporca da troppo tempo.