«Autocritica della categoria senza scaricare le coscienze su condotte di singoli». Anche in tempo di coronavirus, il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Luciano Gerardis, non risparmia un’analisi lucida e severa nei confronti della magistratura. È una cerimonia molto sobria quella che si svolge nell’aula della Corte d’Assise d’Appello con sede in piazza Castello a Reggio Calabria. La pandemia ha costretto ad una profonda revisione delle celebrazioni dell’anno giudiziario 2021. Ma Luciano Gerardis ha anche fatto una scelta di campo netta: sebbene il cerimoniale preveda di indossare le toghe rosse con l’ermellino, lui ha disposto che tutti vestano con la toga nera. È un segno, un simbolo. Ma che certamente vuole porre l’accento sul momento di difficoltà che l’Italia intera sta vivendo. Ed un “no” netto allo sfarzo è arrivato anche con la rinuncia agli onori militari ed agli addobbi floreali. «Agire diversamente – spiega nella sua relazione Gerardis – ci avrebbe creato profondo disagio per un intollerabile contrasto con i sentimenti della nostra comunità e prima ancor con la nostra stessa coscienza, che ci impone rispetto per i tanti morti e per la sofferenza giornaliera di moltissime famiglie a causa della pandemia in corso».

Alla cerimonia sono presenti il commissario straordinario del Gom ed il direttore di Dipartimento prevenzione dell’Asp. Un modo per esprimere gratitudine per il lavoro svolto da medici ed operatori sanitari a favore della collettività.

Pandemia portatrice di povertà

«La pandemia da Covid19 ha allargato a dismisura l’area del bisogno», rimarca Gerardis, che poi ricorda come si sia ampliata la sfera della povertà «che rischia di estendersi ancor di più se non si riesce ad uscire presto e bene dall’emergenza. È documentato che i maggiori pregiudizi sono stati prodotti alle donne ed agli strati più indigenti». Non ha dubbi, il presidente: «Ci è stato imposto uno stile di vita rigoroso e, per tanti versi, disumano. Come altro si può definire la forzata rinuncia ad ogni gesto spontaneo di avvicinamento fisico, ad ogni contatto, ed anzi la difesa indiscriminata dagli altri esseri umani, potenziali veicoli di contagio?».

I terremoti giudiziari

Il 2020, però, è stato segnato anche da «fatti altrettanto devastanti che hanno riguardato il mondo giudiziario». Gerardis non ha remore nell’entrare anche su quanto successo in seno alla magistratura, parlando di una vera e propria questione morale «che si è sposata al concreto pericolo di una crisi istituzionale senza precedenti, che ha confermato la necessità di rigorosi paletti etici nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Si sono messe in mostra crepe pericolose per la stessa struttura democratica fondata sulla tripartizione e l’autonomia dei poteri dello Stato». È a questo punto che il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria parte con una mai scontata considerazione: «Andrà fatta anche una piena autocritica da parte di tutti senza pensare di poter scaricare le coscienze su condotte di singoli i quali, pur se responsabili, hanno potuto continuare ad operare imperterriti grazie alla consapevolezza se non alla complicità ed al tornaconto di molti». L’invito è chiarissimo: «Riprendiamo tutti a fare fino in fondo la nostra parte, piccola o grande che sia. E cerchiamo con umiltà di dare sempre del nostro meglio sia nell’attività giurisdizionale che in eventuali incarichi collaterali».

Strutture giudiziarie e rischi

Accantonata ormai quasi in modo permanente l’idea di poter avere un palazzo di giustizia nuovo (i lavori sono ancora bloccati e la struttura inizia a mostrare i primi segni del tempo), Gerardis sottolinea come esistano rischi all’interno delle attuali strutture giudiziarie. «Basti pensare alla pericolosità della permanenza nei corridoi ed in diversi vani del Cedir di poderosi e ingombranti fascicoli, al rischio di caduta di infissi ed alla disastrosa condizione dell’impianto di condizionamento/riscaldamento dell’aria dello stesso complesso, alle infiltrazioni ed ai piccoli crolli di soffitti degli immobili ove sono ubicati il tribunale per i minorenni e quello di sorveglianza, ed infine all’incendio di un’ala di questo stesso palazzo con il crollo del tetto di un’aula ed ai ripetuti e gravi malfunzionamenti della cabina elettrica che hanno posto a repentaglio l’intero sistema informatico distrettuale, essendo ubicato in questa struttura il blocco operativo del Cisia».

Covid, informatica e attività giudiziaria

È innegabile come la pandemia abbia portato anche un cambiamento nell’approccio all’attività giudiziaria. Per Gerardis «inevitabilmente si è determinata una forte limitazione dell’attività di udienza in presenza, con conseguente contrazione della giurisdizione, disagi vari, ritardi ed accumuli di arretrato che non potranno non condizionare sensibilmente ogni programma futuro. Paradossalmente, nel momento in cui sarebbe stato ancor più necessario affermare i diritti di tutti, la risposta giudiziaria si è maggiormente ridotta proprio nei settori di tutela dei più bisognosi». Eppure, in un clima così difficile, qualche aspetto positivo vi è stato, come «il costante dialogo tra tutti gli operatori della giustizia per ricercare soluzioni concordate, o comunque rendere tutti edotti delle modalità di svolgimento della giurisdizione che meglio potessero coniugare sicurezza personale ed efficienza». Gerardis è certo: «L’informatica si è rivelata la chiave di volta per garantire la prosecuzione di molte attività d’ufficio, giurisdizionali e non, evitandone la paralisi, ed al tempo stesso per consentire il dialogo ed il confronto con soggetti esterni che collaborano a rendere più funzionale il servizio-giustizia. Ne è scaturita, almeno in fase embrionale, una nuova cultura dell’amministrazione giudiziaria che potrà costituire una validissima base di partenza per migliori sviluppi futuri». Il presidente rimarca che «rimangono ineliminabili, insostituibili ed assolutamente prioritari il rapporto diretto interpersonale e l’udienza in presenza, che soli consentono di cogliere nella loro pienezza e totalità, tutti i risvolti umani ed i dettagli di ogni questione, spesso essenziali per esercitare la giurisdizione».

Tuttavia, secondo Gerardis, il ricorso ad una modalità alternativa di prestazione del lavoro, «se limitato a specifici settori, può ben continuare anche al di fuori della fase emergenziale ed essere affiancato all’attività in presenza, ovviamente con una disciplina puntuale che lo renda massimamente produttivo». Non si nasconde, il presidente della Corte d’Appello: «Alcuni settori della giurisdizione sono stati particolarmente sacrificati; e in ambito penale in un distretto come quello di Reggio Calabria, la stragrande maggioranza delle definizioni si è concentrata quasi esclusivamente su procedimenti di criminalità organizzata, oltre agli altri procedimenti a carico di imputati detenuti, sacrificando il resto dei giudizi pendenti che, ancora una volta, riguardano frequentemente gli interessi delle fasce sociali più deboli e dei soggetti più fragili. Tuttavia, la maggiore permanenza domiciliare dei magistrati ha generalmente contribuito a far aumentare la produttività in termini di deposito di provvedimenti, consentendo anche il recupero di pregressi ritardi». Insomma, «agli effetti sicuramente negativi della pandemia (ritardi, aggravi, disagi), da cui occorrerà tempo per emendarsi, si sono accompagnati aspetti operativi positivi, su alcuni dei quali si potrà anche costruire un più avanzato modello di organizzazione della giurisdizione».

Organici degli uffici e pendenze

Il presidente della Corte d’Appello rimarca come la ‘Ndrangheta continui ad essere l’organizzazione criminale più pericolosa ed abbia, anche oggi, la sua testa pensante a Reggio Calabria. «Malgrado questo, da tutti gli uffici giudicanti si alza un corale e disperato grido d’allarme sull’assoluta inadeguatezza delle risorse disponibili. Ciò sebbene le piante organiche siano state ampliate con il recente provvedimento ministeriale che ha aumentato il numero di magistrati a disposizione dei vari uffici italiani». Ma oltre ai ritardi nelle procedure concorsuali, quello che preoccupa di più è che «parzialmente deserti vanno anche i bandi per applicazioni extradistrettuali, che pure garantiscono una durata ben limitata oltre a benefici economici e di carriera. Nei mesi scorsi, ad esempio, si è finalmente riusciti a coprire, dopo vari bandi, uno solo dei posti offerti in extradistrettuale per la Corte d’Appello, che da tempo non riesce a colmare 7 vacanze di cui ben 4 alle sezioni penali».

Quanto alle pendenze, in questo momento, pendono nelle sole sezioni penali dibattimentali della Corte d’Appello ben 176 procedimenti di competenza della Dda, con 1090 imputati di cui 392 detenuti; il tribunale distrettuale ha in corso di trattazione 86 analoghi procedimenti con 1029 imputati e 55 detenuti; il tribunale di Palmi sta trattando 36 procedimenti Dda ed il tribunale di Locri 13. Complessivamente i procedimenti di competenza della Dda pendenti negli uffici giudicanti del distretto sono 320. «E ciò – spiega Gerardis – finisce, nell’inadeguatezza delle risorse, per acondizionare fortemente la giurisdizione». La necessità di dare celere risposta a tali procedimenti, tanto per il fatto della presenza di detenuti, quanto per imputazioni e materiale da analizzare porta a sacrificare «la celerità della risposta di giustizia sia in altri ambiti sia soprattutto nel settore civile, dove rimane alto il livello di litigiosità».