«Compare Pino, fanno tutti a gara, tutti appoggiati ai Nirta, che gli sembra…». Nel mese di aprile 2024 Antonio Bellocco ha già messo un piede e mezzo nella curva Nord dell’Inter. Anzi, per i pm della Dda di Milano avrebbe «già assunto una funzione direttiva» nel mondo degli ultrà nerazzurri. In quel momento, il rampollo del clan di Rosarno ha bisogno di mostrarsi inflessibile: non può cedere rispetto alle altre forze criminali che vorrebbero mettere le mani su una fetta dei business legati a San Siro.

Assieme a Pino Caminiti, uomo legato sia alle cosche della Piana di Gioia Tauro (per parte di zio) che alle ’ndrine aspromontane (per la vicinanza da Pino Calabrò u Dutturicchiu), Bellocco ragiona su quanto le cose facili, come entrare negli affari della curva, siano difficili. «Vadano a rompersi il c… da un’altra parte Pino mio – sbotta Totò u Nanu – tutti quanti devono andare a fare sto lavoro, non ci rompono le palle ai cristiani».

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È la prima volta in cui il giovane “capo” della curva cita esplicitamente il clan di San Luca. Non a caso il riferimento arriva dopo un incontro con Calabrò, che di parentele nella Jonica ne ha a bizzeffe. La vicinanza tra Caminiti e Bellocco viene percepita come un pericolo dall’anziano che gli inquirenti considerano uno dei punti di riferimento per gli ’ndranghetisti a Milano (anche se non è mai stato condannato per reati mafiosi). Anche Caminiti coglie la freddezza del suo amico Calabrò. Ne resta deluso: dalle sue esternazioni si capisce «che lo stesso Bellocco aveva acconsentito a che un quid dei guadagni di Caminiti fosse attribuito a Calabrò: “Pino, se nel caso, a tuo buon cuore e ti avanza un pezzettino di pane e vuoi darglielo… ma che sia di tuo buon cuore, non perché ti viene chiesto, di tuo buon cuore». Per gli inquirenti è un segnale della «grande intelligenza» di Bellocco, «ben consapevole che eventuali richieste di Calabrò potessero pervenire e, pertanto, aveva acconsentito che qualcosa di quanto Caminiti ricavava dalle attività dei parcheggi gli venisse conferita».

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Nei contesti di ’ndrangheta le parole non sono mai ciò che sono, spesso nascondono altro. Per i pubblici ministeri «si comprende come Calabrò si fosse presentato al cospetto di Bellocco per evidenziare le pretese, verosimilmente ascrivibili ai Nirta di San Luca, di penetrare nel lucrativo mondo dello stadio di San Siro». Questa scalata «era stata stoppata, almeno quanto alla curva Nord e ai suoi interessi, da uomo di tutto rilievo come Antonio Bellocco, che aveva espressamente dichiarato di non essere disposto a cedere alcunché, sicché, per dirla con Caminiti, eventuali richieste avrebbero potuto essere rivolte alla curva del Milan, in quanto, per la curva nerazzurra, la presenza di Bellocco avrebbe impedito ogni (ulteriore) infiltrazione».

In una conversazione con Caminiti, Bellocco fa «capire di aver incontrato Giuseppe Calabrò e che i loro sospetti, ovvero che si trattasse di questioni legate allo stadio, erano fondati, ma che allo stesso modo egli aveva stoppato sul nascere qualsiasi pretesa». Il nuovo capo della Nord fa capire «di non aver lasciato nessun margine di trattativa a Calabrò quale mediatore tra le varie famiglie criminali». Bellocco chiude nettamente: «No, no… Non ce n’è più per nessuno… finché ci sono io cammino così, Pino… dritto come… Non mi vendo e non mi compro». Proposito che il giovane Bellocco ha messo in campo per mesi, fino alle 20 coltellate con le quali Andrea Beretta, suo “fratello” ultrà, lo ha ucciso il 4 settembre scorso.