Nella regione che negli ultimi mesi ha pianto più vittime causate dalle alluvioni, c’è un vuoto che oggi più che mai risalta in tutto il suo paradosso: che fine ha fatto la polizia idraulica?
In pochi lo sanno, ma sulla carta esiste un servizio di monitoraggio costante dei corsi d’acqua e delle zone alluvionali, svolto da uno speciale corpo di “polizia”, gli ufficiali idraulici appunto.
A loro dovrebbe essere affidato il controllo di fiumi e torrenti, depressioni e bacini, frane e smottamenti. E sempre loro dovrebbero essere i primi a entrare in azione in caso di eventi metereologici di particolare intensità, segnalando in tempo reale alla Protezione civile e alle altre forze sul campo le maggiori criticità e le aree dove si sta innalzando il livello di rischio.
Dovrebbero. Perché, sebbene il servizio di sorveglianza idraulica sia stato istituito ben 114 anni fa (centoquattordici) con il Regio decreto n. 523 del 1904, in Calabria non ce n’è traccia. Almeno una traccia evidente, che non sia quella di inutili atti.

 

Storia di un fallimento

Nel 2004, la Regione Calabria, con la delibera di giunta numero 996, aveva deciso l’attivazione dei Presidi territoriali idrogeologici e idraulici (Ptii) in 13 aree (già individuate nel ’96) che sarebbero dovute essere oggetto del servizio di sorveglianza. La delibera, che portava in calce la firma dell’allora presidente Giuseppe Chiaravallotti, tracciava anche il profilo del perfetto poliziotto idraulico, che oltre a svolgere attività di controllo, avrebbe anche potuto esercitare poteri sanzionatori in caso di illeciti ambientali. Ma il compito più cruciale in termini di difesa di vite umane sarebbe dovuto essere espletato durante il “servizio di piena”: «Nella fase di allerta - recita la delibera del 2004 -, l’Ufficiale idraulico osserva, in maniera diretta e continua, i livelli idrici in corrispondenza di sezioni particolarmente significative e nella fase di allarme (dopo l’evento), assolve a servizi di protezione civile atti a scongiurare danni a persone e cose o a ridurre il progredire dei dissesti». Insomma, un angelo custode che la Calabria non ha mai visto all’opera.
Ci riprovò nel 2009, dunque ben 5 anni dopo, la giunta presieduta da Agazio Loiero, che si prese la briga di deliberare nuovamente l’attivazione del servizio di vigilanza idraulica da affidare alle Province. Il 19 ottobre dello stesso anno arrivò anche una legge regionale, la numero 31, che stabiliva le norme per il reclutamento del personale necessario, che andava pescato - con contratto - tra i percettori di ammortizzatori sociali e precari, come Lsu e Lpu.
Una disciplina, quindi, che usava il rischio idrogeologico più come pretesto per nuove assunzioni che come obiettivo primario. Il Consiglio dei ministri, presieduto allora da Silvio Berlusconi, impugnò la norma dinanzi alla Corte costituzionale e la Regione Calabria fece marcia indietro, modificando la sua stessa legge e facendo venir meno i motivi del ricorso. Così, non potendo più piazzare i precari, scemò anche l’interesse della politica verso il servizio di vigilanza idraulica.
Non andò meglio nella legislatura successiva, quando, con Giuseppe Scopelliti nei panni di governatore, il personale Afor che avrebbe dovuto monitorare i corsi d’acqua non aveva in dotazione nemmeno le scarpe adatte, figuriamoci Gps, macchine fotografiche, strumenti per le misurazioni e mezzi di trasporto.
La situazione non è cambiata granché negli ultimi anni, con Mario Oliverio a presiedere la Regione.

 

Intanto si continua a morire

È forse anche per questo se negli ultimi mesi si sono contate 13 vittime causate da ondate di piena ed esondazioni, prima il 20 agosto nelle Gole del Raganello e poi, il 5 settembre, nel Lametino, con un’intera famiglia spazzata via dal torrente Cantagalli, che ha rotto gli argini allagando la campagna circostante.
Il corpo di polizia idraulica avrebbe dovuto prendere forma prima tra i forestali nell’Afor e poi tra il personale di Calabria verde, che conta circa 8mila dipendenti pubblici. Di questi, circa 300 sono già annoverati nell’organigramma dell’azienda regionale come sorveglianti idraulici, ma, nei fatti, sul campo non esistono agenti con i compiti e i poteri descritti.
Un contesto di immobilismo cronico che si adatta perfettamente a quanto denunciato dal consigliere regionale Carlo Guccione, che ha fatto i conti in tasca al presidente Mario Oliverio, che è anche commissario straordinario contro il rischio idrogeologico, denunciando il mancato utilizzo di 320 milioni di euro, per un totale di 165 interventi. «Nessuno di questi lavori è stato avviato - rimarca -, nonostante sia passato un anno e mezzo dallo stanziamento dei fondi. A questi soldi vanno aggiunti anche circa 100 milioni di euro residui del vecchio Accordo di programma quadro (Apq) che risale al 2010».
Una débâcle amministrativa che il governatore ha cercato di arginare buttando la palla nel campo del ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, al quale si è rivolto dopo i nubifragi per denunciare lo stato della rete viaria calabrese, chiedendo risorse adeguate per le Province che avrebbero la competenza della loro manutenzione.
Un po’ troppo poco per alleggerire il peso di una responsabilità che vede la Calabria tra le regioni con il territorio a maggiore rischio idrogeologico.


Enrico De Girolamo