«Non è il lavoro che invecchia, sono i dispiaceri». Così si esprimeva Ottavio Forciniti, l’ultimo brigante calabrese, ai microfoni di LaC Storie, in un docufilm realizzato da Saverio Caracciolo realizzato quattro anni fa.

Qualche giorno addietro, l’ultimo brigante se n’è andato, in punta di piedi, a sessantaquattro anni. La casa di Ottavio, ultimo di otto figli, rimasto orfano a cinque anni, era la Sila Greca, le montagne che circondano Longobucco. Era dedito alla pastorizia e badava a quaranta mucche che rappresentavano tutto il suo patrimonio. Si era dato alla macchia, inerpicandosi in Sila, dopo un episodio di cronaca nera – un’accusa di tentato omicidio a seguito di una rissa che lo aveva visto coinvolto giovanissimo – poi risolto dopo circa un decennio. «Sbagli che si fanno da giovani – raccontava – se avessi avuto l’esperienza di oggi non mi sarei nemmeno trovato in quei fatti».

Leggi anche

La sua vita era fatta di stenti e da subito si era messa in salita dopo la morte dei genitori e l’inizio di frequentazioni di ragazzi più grandi di lui. A forgiare il suo carattere forte anche la perdita del suo primo vero amore.

«Sin da piccolo – è un altro stralcio di quell’intervista – dovevo fare il lavoro dei grandi. Io che ero il più piccolo dovevo caricarmi la legna sulle spalle. Non c’erano i mezzi, non c’erano le macchine. A me piace stare a contatto con gli animali, con la natura. Io sono l’ultimo dei pastori e l’ultimo dei briganti».

Ottavio viveva all’addiaccio, estate ed inverno, sotto il sole e la neve e le sue stagioni erano scandite dalle transumanze. Con lui se ne va l’ultimo spirito dei briganti della Sila.