Il Tribunale Collegiale di Palmi, in accoglimento dell’istanza presentata dagli avvocati Giuseppe Alvaro e Francesco Calabrese, ha concesso ad Antonio Cutrì, 31 anni di Sinopoli, gli arresti domiciliari. L’uomo si trovava recluso al carcere di Vibo Valentia. Il quattro marzo scorso i giudici di Palmi lo ha condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione all’esito del processo, svoltosi con il rito ordinario, scaturito dall’operazione “Spazio di Libertà” che vedeva alla sbarra soggetti accusati non solo di associazione mafiosa, ma anche del favoreggiamento ai latitanti Giuseppe Crea, classe 1978, e Giuseppe Ferraro, classe 1968, catturati il 29 gennaio del 2016 dagli agenti della Squadra Mobile della Questura reggina.

 

Cutrì venne fermato il cinque luglio del 2016 su ordine della Dda reggina in quanto accusato di associazione mafiosa, con lo specifico ruolo di curare e gestire la latitanza di Giuseppe Crea, procurandogli i beni materiali, i rifugi, assicurandone gli spostamenti ed i collegamenti con gli alti membri della cosca e con i familiari, facendo anche da intermediario tra Giuseppe Ferraro,  già condannato all’ergastolo con sentenza irrevocabile e che trascorreva la latitanza con il Crea, ed i suoi familiari e gli altri membri dell’associazione. Con riferimento alla sua posizione il Tribunale ha accolto le istanze avanzate dai legali Giuseppe Alvaro ed Antonio Attinà, sostituto processuale dell’avvocato Francesco Calabrese, i quali avevano sostenuto che il reato associativo era insussistente e che i fatti dovevano essere inquadrati nei delitti di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena. 

 

A seguito della riqualificazione del capo di imputazione il Tribunale ha condannato Cutrì a quattro anni e sei mesi di reclusione, a fronte dei sette anni richiesti dall’accusa. Tenuto conto della carcerazione già sofferta e del corretto comportamento processuale dell’imputato, i difensori hanno quindi richiesto, con parere favorevole del pm Francesco Ponzetta, la scarcerazione del Cutrì e l’ammissione agli arresti domiciliari in luogo distante da quello in cui si sono svolti i fatti per cui è finito a processo.