VIDEO | Alla funzionaria della prefettura di Catanzaro Nerina Renda fu contestato il reato di corruzione. Prima che il procedimento venisse archiviato sono passati due anni durante i quali ha subito l'umiliazione della gogna pubblica e la sua famiglia si è sgretolata. Ecco il suo racconto
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Era la fine del luglio 2017 quando la funzionaria della prefettura di Catanzaro, Nerina Renda, si vide arrivare all’alba in caso gli uomini della Polizia di Stato con un mandato di arresto per lei e per il compagno Salvatore Lucchino, gestore di un centro di accoglienza a Feroleto Antico.
L’accusa era tra le più infamanti: corruzione. La donna, secondo l'ipotesi accusatoria poi caduta, avrebbe favorito il compagno nelle ispezioni che venivano fatte nel suo centro e in cambio avrebbe da questo ricevuto dei benefici.
Quindici i giorni trascorsi ai domiciliari, poi lentamente lo smantellamento dell’impianto accusatorio, fino ad arrivare in poco meno di due anni all’archiviazione del caso.
Oggi che l’incubo è finito rimangono le ferite. Due anni di sospensione dal lavoro, la relazione con Lucchino sgretolata sotto il peso del sospetto e delle accuse, sbattuta su tutte le testate nazionali come esempio del business dell’accoglienza.
Eppure, secondo Nerina Renda che ha affrontato la sua odissea giudiziaria con gli avvocati Aldo Ferraro e Antonella Pagliuso, sin da subito ci sarebbero state le condizioni per archiviare il caso. Sarebbe bastato incrociare dati e date per appurare che quanto le veniva pesantemente imputato altro non erano che menzogne, “calunnie” le definisce Renda che hanno però attraversato la sua vita da lato a lato.
Schiacciato dal peso di quell’ingiusta gogna, ci racconta la funzionaria, Salvatore Lucchino avrebbe avuto un infarto, così come il fratello. Anche sua madre ne avrebbe risentito pesantemente, spirando prima di avere potuto gioire per quell’archiviazione in cui aveva sempre confidato.
Eppure durante il primo sopralluogo effettuato nel centro di accoglienza di Lucchino, spiegano i giudici del Riesame, Renda e Lucchino non si conoscevano neppure e l’ispezione avvenne «unitamente al Comandante del Comando Compagnia Carabinieri di Lamezia Terme e a personale del Comune di Feroleto Antico, la cui presenza e sottoscrizione si pone inevitabilmente come attestazione della (piena) corrispondenza tra la descrizione della struttura contenuta nel verbale e le effettive condizioni della struttura ritenuta come idonea ad ospitare fino a 100 persone».
Ci sono poi i sopralluoghi in cui la funzionaria fu solo segretario verbalizzante e le dichiarazioni degli altri membri delle commissioni che avrebbero detto più volte di non avere mai ricevuto pressioni affinché si esprimessero favorevolmente.
C’è ancora quel trattamento di favore spiegato secondo l’accusa dal fatto che Lucchino avrebbe ceduto alla funzionaria un bene a soli due mila euro per ricambiare le benevolenze riceteti. “Scambi” che cozzano, sottolinea la funzionaria, con un legame sentimentale e che sfumano alla luce del fatto che l’immobile fu acquistato dallo stesso Lucchino a quel prezzo.
Amarezze, dubbi, veleni che non impediscono però ora Nerina Renda di guardare avanti. «Qualunque sia la cifra che otterrò come risarcimento danni, ne investirò la maggior parte per la costituzione di una Fondazione per le vittime di malagiustizia».