I nuovi assetti criminali a Reggio Calabria hanno vacillato dopo il furto e la relativa punizione a colpi di casco da moto in testa: «Ma come? Se ci chiamate veniamo in 100mila e poi ci trattate così?». Tutto risolto in nome degli affari
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Un «modo nuovo di relazionarsi» tra la ‘ndrangheta e i gruppi criminali legati alla comunità Rom. Un modo nuovo di intendere i rapporti tra i capi storici del crimine organizzato reggino e gli under dog della criminalità di strada, prima chiamati a fare da bassa manovalanza per gli affari spiccioli dei clan, e ora, dicono le carte dell’operazione Garden, in gioco in prima persona per il controllo (e il rifornimento) delle piazze di spaccio del quadrante sud della città dello Stretto e per la custodia e il reperimento di decine e decine di armi (anche da guerra) con il favore dei Borghetto-Latella, emanazione territoriale della cosca Libri. Un nuovo modo di approcciarsi che potrebbe riscrivere, almeno in parte, la mappa criminale della città e a cui gli inquirenti guardano con attenzione.
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Cardine di questo nuovo rapporto che si sarebbe instaurato tra le due realtà criminali, sarebbe Davide Berlingeri, uomo di fiducia di Angelo Latella e “responsabile” del gruppo nomade per gli affari intessuti con il clan. È Berlingeri – raccontano le quasi 2mila pagine di ordinanza – l’uomo che si preoccupa di smerciare, per conto del clan, la cocaina direttamente sulle piazze di spaccio cittadine attraverso una rete di “collaboratori” che «lavoravano su turni di otto ore». È Berlingeri ad accompagnare lo stesso Angelo Latella per rifornirsi da un nuovo grossista di coca, ed è sempre lui che si occupa di movimentare le armi (kalashnikov compresi) e di tenerle nascoste. Un ruolo di fiducia così cresciuto nel tempo da arrivare a cambiare la stessa considerazione che i vertici del clan Borghetto-Latella avevano rispetto alla loro controparte legata alla comunità Rom. Un rapporto solido e costruito attraverso numerose operazioni criminali ricostruite dagli inquirenti della distrettuale antimafia dello Stretto e che ha rischiato di saltare proprio per una “mancanza di rispetto” che Paolo Latella, boss di vecchia data della famiglia, avrebbe avuto nei confronti di alcuni parenti di Berlingeri, pestati sotto casa per il furto di una bicicletta.
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Se ci chiamate veniamo in 100mila
Tutto era iniziato per il furto (e il successivo pestaggio) a un nipote di Latella che, dopo avere tentato di recuperare una bici sottratta a un terzo individuo, aveva provato a farsi giustizia da solo per poi, dopo essere stato malmenato, tornare a casa dello zio per lamentarsi di quanto successo. Accecato dalla rabbia per quanto appena ascoltato, Latella era sceso in strada facendosi giustizia da sé e ricevendo, in seguito alla colluttazione, un colpo alla testa con un casco da moto. C’era voluto il diretto intervento di Gino Borghetto, che della cosca è considerato il capobastone, per fare calmare gli animi ed evitare altri guai che avrebbero potuto trascinare il clan in una guerra non voluta.
«Quanto occorso – scrive il gip – aveva rischiato di compromettere i rapporti con il prezioso Davide Berlingeri» tanto che, a rissa finita, è Angelo Latella a raggiungere Berlingeri per chiarire la situazione e per tranquillizzarlo rispetto al fatto che il forte colpo alla testa ricevuto dal padre durante la rissa, non avrebbe provocato ripercussioni da parte della cosca. «Non pensavo che tuo padre ragionava in questa maniera – racconta Latella ai familiari riportando quanto gli ha appena detto Berlingeri, che più volte ritorna sulla solidità della alleanza tra il gruppo Rom e la cosca – noi, dice, se ci chiamavate accorrevamo. Anche quando lo zio Angelo ci chiamava, avete bisogno di noi? Noi andiamo e ammazziamo a chiunque ci dice. Hai avuto problemi e siamo partiti in 100 mila… e facciamo quello che vuoi, ma è giusto che ci tratta in questa maniera? Io sono andato per grazia e ho trovato giustizia».
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Rischio guerra
Ma anche se Berlingeri può, nell’ottica di questo nuovo modo di relazionarsi tra gruppi criminali, chiedere rispetto al boss, lo stesso è perfettamente consapevole che umiliare un pezzo grosso del calibro di Angelo Latella può provocare reazioni gravissime. Reazioni che nessuno vuole perché potrebbero portare alla fine degli affari degenerando fino a una vera e propria guerra. «La guerra è finita qua davanti e ne apriamo un’altra? – dice intercettato Angelo Latella commentando lo scenario peggiore che quella lite avrebbe potuto provocare – ne apriamo un’altra con gli zingari in modo da ammazzarci dai balconi? Uno si deve stare zitto e basta». Una sorta di legittimazione criminale che segna il cambio di passo nei rapporti del sottobosco criminale cittadino e che mostra «per la prima volta un nuovo e pericolosissimo volto della ‘ndrangheta che è giunta a stringere patti gravissimi con le comunità nomadi più pericolose sul territorio di Reggio, non solo asservendole a sé ma in forza di un necessario “do ut des”, legittimandole e, fatto ancora più grave, consentendo loro uno spazio di autonomia e libertà delinquenziale di estrema pericolosità sociale che, altrimenti, non avrebbero potuto avere».