La cittadina di Crosia è diventata il palcoscenico di un commovente sit-in per la pace in Medio Oriente. Tante le emozioni e la partecipazione di persone provenienti da diverse comunità. A toccare i presenti, il dolore espresso da Fahed Mubarak, palestinese, rifugiato di terza generazione, che ha condiviso il suo tormento nel non riuscire a stabilire contatti con i suoi cari nella sua terra d'origine, a causa delle interruzioni delle comunicazioni elettroniche. «La sola forma di resistenza proviene dalla parte dei palestinesi, una resistenza che sento profondamente, pensando ai miei parenti a casa con i quali ho perso ogni contatto a causa della mancanza di internet e di elettricità», ha dichiarato con voce carica d'emozione.

Le parole del giovane hanno illuminato i presenti su quella che è la situazione laggiù: mentre il conflitto persiste, le vite quotidiane delle persone vengono sconvolte, rendendo difficile persino un semplice scambio di messaggi di speranza e amore. «Non esito a inviare loro un messaggio: desidero che sappiano che prego per loro ogni giorno e che li ammiro per la loro forza e determinazione», ha aggiunto Fahed. Il sit-in ha offerto uno spazio di riflessione, promuovendo la consapevolezza e l'empatia verso una situazione così complessa e dilaniante. I partecipanti hanno riconosciuto la necessità di sensibilizzare sulle sofferenze e sulle difficoltà quotidiane affrontate da coloro che vivono in queste zone di conflitto. Nel corso delle manifestazione sono state toccate le corde più profonde, rafforzando l'idea che la ricerca di pace e libertà è un desiderio universale. Questo conflitto non è solo una questione politica, ma un appello per il rispetto dei diritti umani fondamentali e per la fine di una violenza che continua a lasciare ferite profonde.

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In un mondo sempre più connesso, è essenziale riconoscere la sofferenza altrui e lavorare insieme per costruire ponti di pace e comprensione. «Questa situazione perdura da troppo tempo - riferisce Vincenzo Fullone, organizzatore della manifestazione e fondatore di “Jasmine Gaza” -, lasciando dietro di sé un mix di emozioni e sentimenti contrastanti, racconta un manifestante. Attualmente, si avverte un profondo dolore per un popolo invisibilizzato e una rabbia nel vedere nazioni democratiche, che ci hanno educato al valore del dissenso e al ricordo storico, permettere che eventi simili si ripetano. È inquietante notare come, in un'epoca con i social media, si verifichino atti di annientamento di intere popolazioni e il silenzio circostante diventa complice. Il messaggio fondamentale è che i palestinesi non cercano solo la pace, ma la libertà. Vivere tra muri e restrizioni non è libertà; l'intera Palestina, non solo Gaza, è sottoposta a chiusure e divisioni ingiuste. Israele, pur essendo considerata una democrazia, non può essere tale se promuove segregazione e divisioni tra persone. I diritti dovrebbero appartenere a tutti, indipendentemente dalla provenienza o religione. È importante ricordare che le vittime non sono solo musulmani, ma anche cristiani palestinesi, il cui legame con la Terra Santa è storico e significativo».