«Tutti sapevano ma hanno scelto consapevolmente di non denunciare alcunché». Si chiude con una parziale sentenza di condanna il clamoroso caso di assenteismo che nell'aprile del 2021 ha portato alla ribalta nazionale l'ex azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro a causa del dipendente che per 15 anni ha continuato a percepire lo stipendio senza, tuttavia, mai recarsi al lavoro.

Il dipendente fantasma

È dall'indagine della Procura che si è infatti originato il parallelo procedimento contabile, giunto oggi a sentenza con condanna inflitta ad otto degli iniziali nove convenuti per un danno erariale di 531mila euro, pari all'importo degli stipendi elargiti al «dipendente infedele» dal 2005 al 2020. Salvatore Scumace, 70 anni di Botricello, in teoria operatore tecnico applicato al servizio emergenza incendi dell'ospedale, nei fatti dipendente fantasma per 15 lunghi anni.

Condotta dolosa

Per la Corte dei Conti che oggi lo ha condannato ad un risarcimento del danno di 531mila euro nei confronti dell'azienda ospedaliero universitaria Dulbecco non ci sono dubbi sul fatto che «la condotta assenteista sia ab origine marcatamente dolosa». Fin dall'inizio si sarebbe rifiutato di prendere servizio, «rendendo indebita la retribuzione che ha puntualmente ricevuto e di cui ha usufruito per oltre 15 anni».

Emorragia di denaro pubblico 

«Una emorragia di denaro pubblico ingiustificata» scrivono i giudici contabili nella sentenza che oltre a Salvatore Scumace condanna anche gli ex funzionari amministrativi dell'ospedale. «Si è dinnanzi ad una fattispecie di doloso occultamento del danno». Per la Corte dei Conti non solo «tutti sapevano» ma avrebbero anche «intenzionalmente scelto di tacere» attraverso una serie di «condotte omissive, più propriamente omertose».

Il primo anello

Inerzie ed omissioni da cui si sarebbe originato il danno patrimoniale concretizzatosi nell'indebito pagamento dello stipendio a Salvatore Scumace da parte dell'amministrazione. Un primo livello di responsabilità i giudici contabili lo individuano in tre ex funzionari dell'ospedale definiti «primo anello della catena causale da porsi quale conditio sine qua non dell'evento di danno».

Inerzie e omissioni

Si tratta, nello specifico, di Maria Cuffari ex responsabile del centro operativo emergenza incendi, Salvatore Calabretta ex dirigente dell'area risorse umane e Giuseppe Scalzo responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale. «Nessuno di loro si è mai chiesto chi fosse e cosa facesse lo Scumace, perché - se egli non ha mai preso servizio - non può ammettersi che un dirigente dell'azienda ospedaliera, informato di ciò, non si curi di aprire una indagine interna e seguirne gli sviluppi».

Dolo grave

«Si è innanzi ad una condotta omissiva talmente grave da non poter essere non riconosciuta come tale da un dirigente o da un responsabile dell'ufficio». Tutti e tre rispondono così di dolo, per l'intero, in solido con Scumace e dovranno risarcire l'azienda del danno di 531mila euro.

Secondo livello di responsabilità

Un secondo livello di responsabilità viene individuato dalla Corte dei Conti in altri tre ex amministrativi dell'ospedale. Nino Critelli successivo responsabile del centro operativo emergenza incendi, Vittorio Prejanò e Maria Pia De Vito succedutisi quali dirigenti dell'area risorse umane. Critelli «con la sua omissione ha inteso occultare l'assenza dello Scumace (o quanto meno ne ha accettato il rischio) e, per questa via, il danno che man mano continuava a formarsi in danno all'erario». Condannato per danno erariale in solido con Scumace ma non per l'intero bensì nei limiti della sua quota di responsabilità «in quanto la sua condotta ha un contributo causale più limitato». Dovrà risarcire all'azienda 381mila euro.

Tutti sapevano, tranne il dirigente delle risorse umane... 

L'ex responsabile delle risorse umane, Vittorio Prejanò, «aveva il dovere di verificare se lo Scumace, da tutti definito un assenteista, continuava a essere presente nel ruolo del personale in servizio sì da avere il diritto alla retribuzione mensile dello stipendio». Per i giudici contabili «non è credibile, né tanto meno verosimile che tutti sapessero del dipendente fantasma, tranne il dirigente delle risorse umane». Condannato, quindi, in solido con Scumace al risarcimento di 367mila euro.

Nessun accertamento

Condannata al risarcimento di 38mila euro anche Maria Pia De Vito dal momento che la dirigente non avrebbe «effettuato qualsivoglia accertamento per verificare se lo Scumace fosse in ferie o in malattie o altro, continuando a pagargli la retribuzione senza chiederne alcuna restituzione».

La firma sul debito orario

Discorso a parte merita per i giudici contabili Massimo Esposito, dirigente dell'area risorse umane dell'ospedale per un breve lasso di tempo, dal 2011 al 2013, ruolo ricoperto in sostituzione del funzionario effettivo. Per la Corte dei Conti non ha una posizione differente da quella dei dirigenti di ruolo per aver firmato il debito orario del dipendente assenteista. «Da cui non può predicarsi alcuna mancata conoscenza del caso. Anzi, egli conosceva più degli altri» dal momento che attraverso una nota «rendeva edotto Scumace della necessità di addurre giustificazioni» in relazioni ad alcune assenze rilevate nel mese di novembre 2012 «in mancanza delle quali l'azienda avrebbe proceduto al recupero monetario». Una responsabilità pertanto dolosa, dovrà risarcire 362mila euro all'azienda.

Nessuna responsabilità nel danno

Respinta invece la domanda risarcitoria nei confronti di Francesco Citriniti, responsabile aziendale dei flussi informativi. «Non ha alcuna responsabilità nel danno prodotto in quanto il suo compito è agire sul software di gestione delle presenze al fine di individuare il debito orario dei dipendenti».