Affari sporchi

’Ndrangheta gourmet, gli affari enogastronomici del clan Maiolo: il prosecco dal Piemonte e lo stocco chiesto ai Gambazza di San Luca

Import-export e punti vendita: le società create dalla cosca per inquinare il settore e alterare la concorrenza. Per il gip il vino veniva imposto ai titolari di alcuni bar del Vibonese

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di Alessia Truzzolillo
21 giugno 2024
16:35

Stocco, baccalà, prosecco, uva. La 'ndrina Maiolo – attiva sui territori di Arena e Acquaro e avente ramificazioni in Abruzzo, Piemonte e Svizzera –, ricostruisce la recentissima indagine della Dda di Catanzaro, si era data al settore enogastronomico. Ma avrebbe operato in maniera illecita e facendo ricorso – scrive il gip di Catanzaro Arianna Roccia – «a forme di minaccia silente (tipica delle associazioni mafiose profondamente radicate sul territorio)».

Il rientro dei fratelli Angelo e Francesco Maiolo nel territorio di Acquaro, ha messo in evidenza come, gli stessi, «contestualmente alla gestione delle attività estorsive, si siano adoperati per creare forme di guadagno apparentemente lecite, mediante la creazione di una serie di società aventi ad oggetto l'import/export di prodotti enogastronomici e affini e l'apertura di alcuni punti vendita».


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«Regime concorrenziale alterato»

In realtà i Maiolo avrebbero alterato il regime concorrenziale grazie alle «relazioni criminali intessute nel corso degli anni, in particolare durante la loro detenzione carceraria, consentendogli, di fatto, l'acquisto di prodotti a prezzi altamente concorrenziali».

Per il pesce stocco, per esempio, Angelo Maiolo avrebbe richiesto a Salvatore Pelle (non indagato in questo procedimento), figlio di Antonio Pelle detto “Gambazza”, storico elemento di vertice della ‘ndrangheta, di presentargli direttamente il fornitore del prodotto.

Allo stesso tempo Angelo Maiolo avrebbe chiesto a Nicola Antonio Papaleo, originario di Rosarno ma residente a in provincia di Chieti, di potere entrare «"con prepotenza" nel commercio di buste biodegradabili da effettuarsi in Abruzzo».

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Il prosecco imposto ai titolari dei bar del Vibonese

Il prosecco Angelo Maiolo lo avrebbe acquistato in grandi quantità da cantine di Novara e Asti per poi venderlo sia in Calabria che in altre regioni d'Italia, quali Abruzzo e Lombardia, nonché stati esteri, quali Svizzera e Germania. Secondo il gip la compravendita del prosecco «non soltanto è stata imposta ai commercianti di Acquaro e paesi limitrofi, ma anche in luoghi della provincia vibonese ove sono presenti soggetti in qualche modo legati alla consorteria (Piscopio, Sant' Angelo di Gerocarne, Soriano Calabro)».

Con l’aiuto di Cosmo Damiano Inzitari, Maiolo, emerge dalle intercettazioni imponeva «ai titolari dei bar della zona l'obbligo di rifornirsi di prosecco esclusivamente da Maiolo».

«Io solo prosecco, io il prosecco vedete che lo porto io, punto!(...) glielo sto dicendo a tutti, mi hanno detto tutti di sì, la verità» dice in una intercettazione Angelo Maiolo, il quale fa un po’ i conti con i paesi nei quali portare il prodotto: «Io adesso sto facendo Acquaro, Dasà, Arena, Gerocarne, Soriano, Ciano eh ... Piscopio mi hanno detto di sì e due bar a Vibo mi hanno detto... Io voglio arrivare a venti bar, quando arrivo a venti bar, gli dico "io non vi porto altro, solo il prosecco, il prosecco ce l'ho buono”».

La vendita dell’uva

«In poche parole la porta tutta angelo l'uva e la vende lui a tutti…. E chi vuole l'uva se la deve prendere da lui», dice Domenico Fusca in una intercettazione. Un’altra attività economica sulla quale la ‘ndrina di Acquaro avrebbe messo le mani. Un’attività gestita anche dai sodali Vincenzo Pisano e Pasquale Rottura. Ma un contributo importante lo avrebbe fornito anche da «Nicola Antonio Papaleo (figura di riferimento della consorteria in Abruzzo) e dai suoi familiari, in particolare dal fratello e dal cugino, i quali, oltre ad avere effettuato ordini di uva da mosto per conto proprio, si sono prodigati nella ricerca di ulteriori clienti al fine di agevolare la vendita di uva e mosto».

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Posti “riservati” al mercato

Per la vendita di stocco e baccalà al mercato il ricorso al metodo mafioso emergerebbe da una intercettazione nella quale i Maiolo vogliono farla da padrone anche nell’aggiudicarsi un posto buono al mercato. «Là vicino a quello dei polli, caccio a "quello" domani mattina […] Là eh... Si devono mettere solo due cartucce là a terra e basta, e non si avvicina nessuno!»

Il gip: «Prodotti e prezzi imposti»

Secondo il gip «si ritengono pienamente integrati gli elementi costitutivi della norma incriminatrice in discorso, risultando delineati: lo specifico settore di mercato (quello enogastronomico) su cui si innestano le singole condotte degli indagati; l'illiceità (e non semplice slealtà) delle stesse, poiché perpetrate mediante il ricorso a forme di minaccia silente (tipica delle associazioni mafiose profondamente radicate sul territorio come quella oggetto del presente procedimento), e la loro lesività, tanto della libera autodeterminazione degli operatori economici quanto del corretto funzionamento del mercato (attraverso l'imposizione a fornitori, esercenti, rivenditori e consumatori finali, dell'obbligo di acquistare i prodotti - prosecchi, stoccafisso, uva al mosto - dagli indagati e ai prezzi da essi stabiliti)».

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