Diciamocelo senza ipocrisie: l’accelerazione di questa inchiesta ha coinciso con l’arrivo alla Dda di Catanzaro del dottor Gratteri. In tutti questi anni, in attesa dell’azione della giustizia, gli imprenditori/vittime, sono stati solo facile obiettivo di qualsiasi azione criminale e, con alti e bassi, hanno difeso le loro attività, le loro famiglie e, soprattutto, non si sono piegati
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L’indagine “Rimpiazzo” che ha decimato un paio di cosche vibonesi, tra cui quella emergente cosiddetta dei Piscopisani, che puntava addirittura al predominio sul territorio, ha disvelato una sorta di “Gomorra” in salsa vibonese. Gli ingredienti c’erano tutti: violenza, prepotenza, teatralità delle intimidazioni e sangue. La cosca di Piscopio, una frazione di Vibo Valentia, era determinata a scalzare e ridimensionare il potere criminale della storica e potente cosca dei Mancuso di Limbadi. Il teatro dello scontro: il territorio di Vibo. In mezzo a questo fuoco incrociato, la popolazione inerme, gli imprenditori, la società civile vibonese. Un panino dell’orrore, nel quale venivano schiacciati in particolare gli imprenditori. Vessati, minacciati, intimiditi, aggrediti fisicamente. Un vero è proprio inferno, nel quale neanche i sacerdoti venivano risparmiati.
Il periodo nel quale si è consumata questa mattanza di tipo psicologico e materiale è stato circa un decennio fa. Il procuratore Nicola Gratteri, ancora una volta, si è rivelato il più onesto sul piano intellettuale, allorquando, in conferenza stampa, pesando le parole, ha dichiarato che l’operazione di polizia ai danni di questi criminali vibonesi passerà alla storia dei manuali di Polizia, ciò perché è stato il frutto di un mix perfettamente sincronizzato di indagini, dichiarazioni dei pentiti e collaborazione delle vittime che hanno offerto tutti i riscontri alle analisi investigative.
Gli imprenditori vibonesi dunque, hanno subito, denunciato e rischiato e, oggi, insieme alle forze dell’ordine, sono gli eroi di questa operazione, sono gli attori principali e, molto probabilmente, grazie alle loro testimonianze permetteranno che un esercito di banditi violenti e selvaggio venga rinchiuso nelle patrie galere per diversi lustri.
C’è tuttavia un ulteriore aspetto che va sottolineato e che, purtroppo, alla maggior parte dei colleghi cronisti nostrani sembra essere sfuggito: gli imprenditori vibonesi in questa vicenda hanno compiuto un ulteriore atto di eroismo e di coraggio, quello cioè di resistere. Mai come in questo caso, infatti, la resistenza è stata una dimostrazione di fiducia verso lo Stato, nonostante questo Stato, alcune volte abbia dimostrato di esserci ad intermittenza come le luci degli alberi di Natale.
Gli episodi oggetto di questa inchiesta, infatti, sono avvenuti si può dire una generazione fa. Anche le denunce sono riferibili a quegli anni. Le manette ai polsi di questi criminali sono scattate solo oggi. E, allora, diciamocelo senza ipocrisie, l’accelerazione di questa inchiesta ha coinciso con l’arrivo alla Dda di Catanzaro del dottor Nicola Gratteri. In questi lunghissimi dieci anni, purtroppo quegli imprenditori sono rimasti soli a fronteggiare la protervia di un esercito di criminali. Una protervia molto simile alle “gomorre” campane. I cosiddetti Piscopisani si muovevano come gangster aggressivi e prepotenti. Ci sono episodi descritti nelle carte che fanno veramente accapponare la pelle. Sparavano alle attività, ordinavano gambizzazioni, picchiavano, intimidivano. Conoscevano un solo codice: prepotenza e violenza. Un codice scritto spesso con il sangue delle loro vittime. In questo contesto, questi soggetti spadroneggiavano e razziavano il tessuto imprenditoriale vibonese.
Nonostante ciò, un gruppo di imprenditori ha deciso di denunciare le vessazioni e le estorsioni e riferendo, fin da subito, alle forze dell’ordine, l’evoluzione della geografia criminale nel territorio, tra questi imprenditori, anche Domenico Maduli, all’epoca non ancora editore e poco più che trentenne. E tuttavia, non possiamo non evidenziare la circostanza che in tutti questi anni, in attesa dell’azione della giustizia, questi imprenditori sono stati soli, facile obiettivo di qualsiasi azione criminale e, con alti e bassi, hanno difeso le loro attività, le loro famiglie e, soprattutto, non si sono piegati. Vogliamo dirla tutta? Gli imprenditori vibonesi hanno riscattato la nostra terra da anni di ignavia, paura e rassegnazione. Una terra schiacciata tra la prepotenza criminale da un lato e l’immobilismo dello Stato dall’altro.
All’alba di martedì 9 aprile 2019, circa dieci anni dopo i fatti, finalmente è arrivata l’azione e la risposta dello Stato, finalmente efficiente, finalmente credibile, incastonato nel linguaggio asciutto e rassicurante di un altro testardo calabrese, Nicola Gratteri, il quale, instancabile, continua a lanciare appelli agli imprenditori calabresi: parlate, denunciate, non subite. Tuttavia, possiamo dimenticare che, forse, c’è voluta tutta la determinazione e la testardaggine di un procuratore come Gratteri per tirare fuori fascicoli rimasti impolverati nella scrivania di qualche funzionario? No, non possiamo dimenticarlo, anzi dobbiamo fare in modo che ciò non avvenga più.
La battaglia, dunque, non può dirsi conclusa, non solo quella contro la criminalità, ma anche e, soprattutto, quella contro uno Stato che spesso rivela lacune, negligenze, frutto in qualche caso di collusioni importanti. Uno Stato credibile non può funzionare ad intermittenza ma dovrebbe essere un faro accesso sulla sicurezza dei cittadini e sulla sicurezza degli imprenditori sempre. La credibilità dello Stato non può essere legata alla credibilità o meno dei suoi rappresentanti. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato può e dovrebbe derivare dalla continuità e dalla rapidità dell’azione dello Stato che dovrebbe manifestarsi costantemente, indipendentemente dal rappresentante Stato del momento. Ecco perché in questa vicenda, che fortunatamente si è conclusa con un successo dello Stato, permangono ombre che ci auguriamo un giorno possano essere disvelate.
Altro capitolo riguarda l’informazione. Quel giornalismo che alle nostre latitudini risulta essere spesso autoreferenziale, sempre pronto a relegare il giornalismo non omologato nella lista dei cattivi, un vizio che, certi noti cenacoli abusivi di giornalismo calabro, dispensatori di pagelle taroccate di buoni e cattivi, non vogliono abbandonare. Un giornalista, un cronista onesto, dovrebbe raccontare e analizzare le contraddizioni anche di fronte ad inchieste di successo come quella “Rimpiazzo”. Un cronista serio e onesto, dovrebbe avere un unico obiettivo: raccontare la verità o tentare di avvicinarsi il più possibile alla verità, questa dovrebbe essere la nobile aspirazione di coloro che, come noi, hanno il privilegio e la responsabilità di raccontare la realtà, le dinamiche sociali, economiche e criminali del territorio. Invece, spesso, assistiamo all’esercizio di un giornalismo che, incapace di fronteggiare la concorrenza editoriale con la qualità, preferisce la scorciatoia, magari, appena si presenta l’occasione, alimentando il venticello sottile della calunnia verso i propri competitor, intingendo la penna nel calamaio colmo di veleni, ambiguità, mezze verità, titoli manipolati, parole sussurrate, parole non dette. Un quadro desolante. Leggere le carte serve a comprenderle non a stravolgerle. E, dunque, anche l’onestà intellettuale dell’informazione nei prossimi anni dovrà rappresentare un altro fronte di rinnovamento morale e culturale e di risanamento radicale della nostra terra, pari a quello della lotta alla 'ndrangheta e alle collusioni dello Stato.
Pasquale Motta
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