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In epoca di crisi, di disperazione economica e sociale, le inchieste e le accuse di malcostume politico risultano particolarmente odiose; in una fase poi di grande contestazione sociale nei confronti dei rappresentanti del ceto politico in generale che si sta rivelando molto lunga e che ha fatto lievitare non solo i movimenti antisistema e populistici, ma anche la disaffezione al voto, diventano addirittura pericolose per la tenuta del sistema democratico. La premessa mi serve per affermare un concetto del quale sono fermamente convinto: nessuna inchiesta, per quanto legittima, dovrebbe essere utilizzata per demolire il sistema dei principi democratici. Ergo, se le inchieste da un lato vanno fatte in maniera rigorosa per reprimere ed estirpare definitivamente la malattia della politica arraffa arraffa, dall’altro lato, bisognerebbe maneggiarle con cura, col fine di evitare il rischio che siano utilizzate per sfasciare un già malconcio sistema democratico attraverso la gogna mediatica sistematica e indiscriminata. Già, la gogna mediatico-giudiziaria che, di fatto, in questo Paese si è sostituita al processo penale, unico luogo nel quale si dovrebbe sancire chi è colpevole e chi no. Il clima che si respira in questi giorni in Calabria, è quello di una gogna mediatica violenta che investe tutto e tutti, e che non fa differenza tra i diversi profili giudiziari delle personalità politiche coinvolte nell’inchiesta, un pastone ad uso e consumo di titoli scandalistici, nei quali, ad arte, si sottolineano gli aspetti più pruriginosi dell’inchiesta. Una valanga di merda che travolge tutti, storie, persone, dignità, funzioni, istituzioni. Un clima già vissuto in questa Regione, allorquando nel 2006, un altro PM d’assalto, Luigi De Magistris, indagò tutti gli inquilini di Palazzo Campanella dell’epoca. Una macroscopica inchiesta che portò alle dimissioni di un ministro, di un Governo e di esponenti della Giunta Regionale di Loiero, e che, alla fine, fu fatta a pezzi dai collegi giudicanti nei vari gradi di giudizio.
Ci risiamo, allora come oggi, ad alimentare l’assalto al Palazzo, i rapporti esclusivi di alcuni cronisti con pezzi di Magistratura, di funzionari dello Stato, di ufficiali di Polizia giudiziaria. Il cosiddetto “marchingegno”, del quale parlava in un bellissimo corsivo sul Garantista, Ilario Ammendolia. Un “marchingegno” infernale che pretende di dettare l’agenda alla politica, di stabilire quando si deve votare, chi debba ricoprire un incarico o meno e di dettare la linea anche ai giornalisti non allineati. A dirigere i suonatori, più o meno, sono sempre gli stessi, uguale il metodo, utile a intimidire o inibire, i suonatori solitari che non si uniscono all’”orchestra”, anche l’arma, è sempre la stessa, quella della denigrazione, del sospetto, della minaccia velata del dire e non dire di chi, si accredita come colui che, è in possesso di determinate “informazioni” e può renderle note.
Nell’inchiesta di rimborsopoli, dalle carte riferite alla posizione di Nicola Adamo, in una serie di pillole intrise di sospetto e somministrate a rate, si parla del rimborso ad una “fantomatica” TV Web, denominata TV IDEA. Sono stato tra coloro che, per alcuni mesi, con altri colleghi, a quel progetto editoriale ha collaborato. In quella testata, regolarmente registrata in tribunale come testata giornalistica, hanno lavorato tecnici e operatori televisivi, grafici Pubblicitari, tecnici informatici. Una testata che aveva anche una sede all'Unical. Abbiamo prodotto contenuti informativi, reportage sull'attività istituzionale del Gruppo Misto a Reggio Calabria, Diamante, Verbicaro, Acri, Belvedere Marittimo e in altri comuni della Regione realizzando dirette streaming e dirette simulate. Per quel lavoro abbiamo ricevuto dei rimborsi fissi, molto al di sotto dei costi standard che si sostenevano per tutto il lavoro che abbiamo prodotto. Non abbiamo, dunque, da pentirci di nulla, non dobbiamo giustificarci di nulla, come qualcuno ci invitava a fare, anzi, una tale sottolineatura, nella Regione dove strutture familistiche occupano uffici stampa istituzionali a destra e a manca, è una cialtronesca minaccia, oltre che, una irricevibile provocazione. Per quanto ci riguarda dormiamo sonni tranquilli, chi dovrebbe avere sonni agitati sono coloro che hanno editato giornali e giornaletti sponsorizzati da grandi partecipate di Stato leader nella meccanica e della produzione di armi, chi non dovrebbe dormire sonni tranquilli sono coloro che hanno ubicato le sedi legali dello loro testate giornalistiche in box per auto a Milano con l’obiettivo di eludere la notifica degli atti giudiziari dei giornalisti che non sono stati pagati, chi non dovrebbe dormire sonni tranquilli sono coloro che esercitano il più spregiudicato lobbismo a favore di multinazionali e tale da far arrossire il più spregiudicato dei Bisignani d’Italia.
Non vogliamo la guerra con nessuno, riteniamo anzi, che ognuno sia libero di applicare la propria morale nell'esercizio dell'informazione all'opinione pubblica. Pretendiamo però, di essere rispettati nell’affermazione della nostra linea editoriale. Se qualcuno pensa il contrario, troverà pane per i suoi denti!
Siamo convinti assertori del rispetto delle funzioni della Magistratura, e siamo convinti difensori del principio che la Magistratura debba fare il suo corso. Altresì, siamo ancora in condizione di distinguere e di fare la relativa differenza tra coloro che, hanno utilizzato i fondi dei gruppi politici della Regione per rimborsare l'attività politico istituzionale, da coloro che, invece, hanno utilizzato quei fondi per acquistare tartine e champagne. E vivaddio, se c'è differenza!
Durante la rivolta del popolo di Parigi, alla Regina Maria Antonietta, addebitarono la famosa frase delle brioche, frase che incarognì ancor più il popolo affamato di pane e sangue. In realtà la vicenda era una bufala, ma la balla, alimentata di bocca in bocca, servì ai denigratori per alimentare l’odio del popolo.
La virtù dell'affermazione di un giornalismo libero sta proprio in questa capacità di distinzione tra le diverse sfaccettature di una inchiesta; sparare nel mucchio e sollevare polveroni sempre più alti e intensi non consente più di osservare le differenze, con il rischio altissimo, in una terra di camaleonti come la Calabria, che tutti i gatti diventino bigi, che i cialtroni diventino statisti e gli imbroglioni si trasformino in cultori della legalità.
Pasquale Motta