“Io sono contentissimo, orgoglioso di mio figlio e quando lo guardo penso a come sia stato generoso il Signore nel donarmelo! Ho novanta anni e gioisco quando ripercorro le strade di Riace perché si vive in un’oasi di pace anche grazie a lui!”.


Ce lo dice con gli occhi pieni di lacrime e con la voce rotta per l’emozione, Roberto, il papà di Domenico Lucano, sindaco di Riace. Un uomo, il primo cittadino, che ha saputo trasformare il piccolo centro reggino in un modello di accoglienza e integrazione nei confronti degli immigrati.


Questa cittadina, già nota per il ritrovamento di due statue bronzee di epoca greca nel 1972, è diventata famosa e attualmente ospita 500 migranti, su circa 1800 abitanti complessivi. Un luogo dove si vive e convive nel rispetto reciproco, dove si sta sempre più sviluppando il processo d’integrazione tra riacesi e migranti che lavorano insieme per diventare il paese dell’accoglienza.


“Ricordo che mio figlio sin da piccino lottava per un mondo migliore ed era sempre attento all’altro”, afferma papà Roberto. “Ancora mi emoziono quando penso a un episodio che accadde quando Domenico era ancora ragazzo. Attendava l’autobus alla fermata e accanto a lui c’era un coetaneo infreddolito e privo di giubbotto: credo non se lo potesse permettere!


Mio figlio l’ha guardato e ha deciso di regalargli il suo… ecco, Domenico è anche questo!”, continua Roberto.


Un cuore buono, attento all’altro, capace di privarsi di quanto possiede per dare al prossimo. E con l’avanzare dell’età il sindaco Lucano ha mantenuto le sue caratteristiche e lo ha dimostrato dirigendo il piccolo comune reggino, divenuto luogo dell’accoglienza. Senza pensarci troppo, preso quasi da istinto, ha aperto le porte del paese e donato speranza alla gente fuggita dalla sua patria per guerre e persecuzioni. Ogni giorno, instancabilmente, il primo cittadino porta avanti questo progetto e lo difende a pugni stretti. In fondo il suo intento è solo quello di accogliere, senza troppi giri burocratici, anche se gli scontri non mancano.


“La mia è un’accoglienza allo stato puro!” ha detto il sindaco Lucano e continua: “d’altronde Riace è nata così! Quando nel 1998 arrivò un barcone carico di Curdi, con circa 300 profughi, li abbiamo accolti senza troppi ma, senza troppi perché, senza il sostegno dello Sprar. Lo abbiamo fatto aprendo le case lasciate dai nostri emigrati che sono divenute luoghi di accoglienza. Lo abbiamo fatto senza recepire nulla per i primi tre anni!


Oggi quando vedo che alcuni immigrati, anche dopo un anno, devono lasciare Riace, mi rammarico. Le carte, a quanto pare, contano più delle persone! La Prefettura stabilisce che intere famiglie devono spostarsi in altra zone della Calabria e non posso fare nulla! Chiedo loro: “Che valore danno alla vita di queste persone?. Intere famiglie, oramai inserite nel nostro paese, con bambini piccoli che hanno già iniziato l’anno scolastico sono costrette a trasferirsi, non funziona così!


Mi dispiaccio! A Riace, sinora, i luoghi di accoglienza non sono mai mancati, perché trasferirli? Non c’è nessuna attenzione per l’uomo… L’Italia è proprio strana!”.


E con queste parole il sindaco interrompe il dialogo, china il capo e con passo svelto si incammina verso la sua automobile portando con sé, da una parte l’amarezza di tutti coloro che dovranno lasciare Riace, dall’altra la consapevolezza e la tenacia di chi continuerà a lottare per il bene di una cittadina riscattata, grazie all’accoglienza degli immigrati, dalle sorti di uno spopolamento che ha condotto all’estero molti dei suoi abitanti.


Il sindaco lascia una grande lezione di umanità a questo nostro mondo nel quale hanno voce solo le bombe che precipitano dal cielo, le cinture esplosive, la rabbia incontrollata, l’odio e il disprezzo dell’altro, l’ipocrisia di ogni parola proferita, e la forza dell’uomo è solo nei muscoli usati e mostrati per innalzare barriere e operare respingimenti.