Se ne va uno dei custodi della storia della marineria locale e dell’antica arte della pesca del tonno. Sognava di poter donare i suoi cimeli all’agognato museo
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Il termine Rais è una parola di origine araba che si può tradurre con “capo, comandante, persona autorevole in un particolare ambiente”. Nel periodo dell’egemonia ottomana nel Mediterraneo, il termine era molto diffuso con il significato si “capitano di bastimento”. Per secoli, nel mondo immutabile della tonnara, il rais fu il signore assoluto, detentore del comando e, soprattutto, della conoscenza; per lui il mare non aveva segreti.
La pesca del tonno, anche in Calabria, rappresentò per molti secoli un’industria fiorente praticata fini agli anni ’60 del secolo scorso, fino a quando nuove e più moderne tecniche di pesca e avversità ambientali non decretarono la sua fine.
Il complesso sistema di reti che formavano la tonnara era un segreto tramandato gelosamente da padre in figlio. Era compito del rais collocare le reti nei posti più idonei e dalla sua capacità dipendevano le sorti della pesca e anche la fortuna dell’imprenditore che finanziava la tonnara, per cui questi era solito scegliere il rais con particolare attenzione selezionandolo fra le persone più anziane ed esperte, che offrivano maggiori garanzie di efficacia ed efficienza.
L'ultimo rais della tonnara di Bivona
Nunzio Gaetano Canduci era il rais della tonnara di Bivona (Vibo Valentia).
Viveva con il sogno di veder realizzato il Museo della Tonnara, a cui aveva in mente di donare gli oggetti che gelosamente conservava, fra cui la campana della “Caterina”, la barca-ammiraglia della flotta tonnarota, quella dove prendeva posto il rais.
«Ce la farò a vedere di nuovo la Tonnara con il suo Museo?», diceva spesso. Ma Nunzio Gaetano, da sempre orgoglioso di portare il titolo di rais, ereditato dal nonno e poi dal padre Francesco, se n’è andato, portandosi con sé un pezzo di storia locale, quella legata alla marineria e all’antica arte della pesca del tonno. Mentre il complesso architettonico della Tonnara di Bivona, il più importante del Sud Italia, insieme a quello di Favignana, è ancora desolatamente chiuso nonostante le numerose “inaugurazioni” che si sono succedute negli anni.
Il nonno, che portava il suo stesso nome, era arrivato in Calabria intorno al 1890 e nel 1919 venne chiamato dal marchese Gagliardi in qualità di primo rais della tonnara di Pizzo, mentre nel 1924 fu “calata”, sempre dallo stesso proprietario, la tonnara di Bivona, che rimase in attività fino al 1936. Dalla Sicilia vennero fatte arrivare esperte maestranze, come i salatori, in quanto i tonni, all’epoca, si vendevano freschi o sotto sale, come le loro uova che diventavano “bottarga”.
Scoppiata la guerra, parte della famiglia era ritornata in Sicilia, ma subito dopo la fine del conflitto, con una barca a remi che, in presenza di vento, poteva alzare anche una vela, il padre con altri quattro pescatori partono da San Giorgio di Patti alla volta di Bivona, che riescono incredibilmente a raggiungere riunendosi al resto della famiglia. Subito dopo, l’imprenditore Cantafio assegna al padre Francesco e al fratello di questi, Giovanni, il titolo di rais.
«Poiché il titolo di rais si trasmette ai discendenti masch i- spiegava - mio cugino Nunzio Canduci ed io, Nunzio Gaetano Canduci, siamo rais: lui come primogenito di Giovanni ed io come unico figlio maschio di Francesco».
Nel 2015 la Pro Loco di Vibo Marina gli aveva conferito, insieme al cugino Nunzio, il “Premio Porto Santa Venere” in segno di riconoscenza e stima per le abilità e conoscenze nelle tecniche di pesca e per l’impegno profuso nella salvaguardia delle Tonnare con i valori delle sue straordinarie tradizioni.