Sul piano politico dunque, questa competizione elettorale in Calabria, si è rivelata una disfatta per il partito democratico guidato da Ernesto Magorno. Una  disfatta politica, ovviamente, che prevalentemente,  si consuma nei comuni superiori a 15.000 abitanti: Vibo Valentia persa al primo turno, Lamezia Terme che, tra l'altro è la terza città della Calabria e che, proveniva da 10 anni di amministrazione di centro sinistra, e poi Gioia Tauro, dove a cadere è stata una figura storica della sinistra come Aldo Alessio, già sindaco della città agli inizi degli anni 90. Unica consolazione per il PD, la vittoria al primo turno di San Giovanni in Fiore e di Siderno con  percentuali bulgare. A questo punto c’è da chiedersi: ma il PD calabrese esiste veramente? Il Pd inteso come “partito”, come organizzazione strutturata e con regole certe, come comunità solidale, come centro di selezione della classe dirigente. La mia risposta è no. Sia chiaro, l’esistenza o meno del Pd come partito, è un problema di natura nazionale e che, investe non solo il problema dell’organizzazione ma, della sua stessa collocazione identitaria. Restiamo però alle nostre latitudini, rinviando la riflessione su quanto sta avvenendo sul piano nazionale ad altro momento. Il PD calabrese non esiste, non solo perché i “baroni ingombranti”, oggetto della mia riflessione al primo turno, ne impediscono la crescita, ma perché al suo interno non esistono regole certe che, in qualche modo siano capaci di governarne le ambizioni, le prepotenze, le lotte intestine, il correntismo esasperato. Le elezioni appena trascorse ne sono la prova plastica. Su Vibo Valentia ho già detto e scritto nella mia riflessione sul dato elettorale del primo turno. Le elezioni, nell’epoca del pensiero debole e delle “passioni tristi” così come definita da Miguel e Gèrard, si vincono e si perdono  per  motivi alquanto semplici, uno di questi è la credibilità.
Su Lamezia il PD non aveva perso ogni credibilità, unica precondizione per poter sperare di vincere. Durante i 10 anni di amministrazione Speranza, il PD sostanzialmente si è caratterizzato esclusivamente per le lotte intestine contro il primo cittadino e intorno alla rappresentanza della delegazione del PD che doveva far parte della Giunta Municipale. Sullo sfondo la lotta quasi personale della senatrice Doris Lo Moro contro Gianni Speranza. Una lotta senza esclusioni di colpi e ampiamente ricambiata dall’ormai ex Sindaco della città della Piana. Una posizione anomala, ipocrita e opportunista ha caratterizzato  l’atteggiamento verso l’amministrazione cittadina:  stare formalmente dentro la maggioranza, occupare poltrone in Giunta, mantenere un atteggiamento di velenosa ostilità verso l’amministrazione cittadina senza però trovare il coraggio  di assumersi la responsabilità di uscire dal campo della maggioranza. Un ibrido politico senza senso. Infine, l’esasperante battaglia per evitare le primarie, la finta unità sulla candidatura di Rechichi e  la conseguente “Caporetto” del candidato indicato dalla senatrice a vantaggio  di Tommaso Sonni alla primarie. La città, dunque, al di la del giudizio di merito sull’amministrazione Speranza, era stanca di tutto ciò, era stanca del PD, delle  lotte interne in seno a quel partito, di una certa retorica moralista. Tutto questo si è  consumato nella radicale incapacità a svolgere qualsiasi ruolo dagli organismi provinciali e regionali del PD. E ciò, nonostante la presenza di commissari, coordinatori e quant’altro che, non solo non sono mai stati in grado di governare questi processi, ma addirittura, in alcuni casi, hanno aggravato le tensioni e le lacerazioni per conquistarsi il favore  dei “baroni ingombranti”, dalla Lo Moro, a Scalzo, passando per Reale, fino al vecchio  e indomito senatore Petronio o all’onnipresente on. Leone e giù di li. Il disastro ora  è stato compiuto. A tutto ciò,  si aggiunga il trasversalismo di alcuni dei “baroni ingombranti” del PD, i quali, spesso, hanno giocato e giocano due parti nella stessa commedia, passando dai tavoli di gioco di  Galati, a quelli di Ruberto o in quelli di altri esponenti del centrodestra, uno specialista in tal senso, per esempio, è il Presidente del consiglio regionale Antonio Scalzo, sempre preoccupato di avere  canali di comunicazione con tutti i fronti, ai quali, spesso, offre qualche collocazione o nomina in enti di sottogoverno. Il PD, dunque,  al netto della buona candidatura di Sonni, non aveva più credito per vincere a Lamezia. Per non parlare di quanto è successo nei comuni minori andati al voto, in particolare nella provincia di Catanzaro, dove spesso le sfide si sono consumate tra fazioni e candidati che avevano la stessa tessera in tasca, quella del PD: Soverato e Girifalco, sono due casi emblematici in questo senso, c’erano i candidati ufficialmente appoggiati dal PD e sul fronte opposto, candidati sostenuti da singoli capi bastone del PD. E il PD provinciale e regionale? Anche in questo caso ha lasciato fare per opportunità di corrente, di banda, di area. Mario Oliverio in questa campagna elettorale si è speso generosamente e, spesso, e’ stato trascinato in campagne elettorali e comizi, nei quali, mentre lui si appellava  al voto per il candidato ufficiale del PD, esponenti della sua stessa maggioranza, spesso tramavano per far vincere la fazione opposta. Una giungla, un pantano, con il suo contorno di belve affamate di potere e serpenti velenosi.  Può definirsi “Partito” un’organizzazione di questo tipo? Personalmente penso di no, ma il mio parere sarebbe irrilevante, se non fosse, in qualche modo confermato dal giudizio  degli elettori. Oggi, alla luce del risultato elettorale,  i cittadini hanno emesso una sentenza di colpevolezza a danno del PD e di un certo atteggiamento nei territori. Il problema del PD, almeno sul piano politico e organizzativo, sta tutto qua. Ora si potranno fare mille ipotesi, si potranno trovare mille scuse su chi scaricare la responsabilità di una sconfitta politica, oppure continuare a far finta di nulla, ma il PD comunque si voglia girare la frittata, o cambia passo e inverte la percezione che ha nell’immaginario collettivo, che è quella di un covo di vipere pronte a sbranarsi tra di loro pur di conquistare una posizione di rilievo,  oppure Renzi o non Renzi, renziani o antirenziani, passata la febbre eccitante del rottamatore, rischia di scomparire nelle sue innumerevoli contraddizioni. E’ paradossale, ma il miglior risultato si registra a Cosenza, dove in qualche modo, il rapporto con il territorio e’ gestito in maniera tradizionale. C'è da augurarsi che Magorno e tutto lo stato maggiore del PD calabrese comprendano, che non basteranno i selfie con Lotti, o le finte assemblee con Guerini o le sfilate di moda con la Boschi per tenere botta elettorale in Calabria nei prossimi mesi, ma si tratterà di anticipare proprio dalla Calabria un progetto che ricominci a dare senso al concetto di  “partito”, alla sua funzione, alla sua collocazione nella società. Diversamente scioglietelo, frazionatevi in comitati elettorali e, magari federatevi in occasioni delle competizioni elettorali. Ma cancellate subito la “P” dal vostro simbolo, quella “P” e’ in contraddizione con l’interpretazione che fino ad oggi ne avete fatto e mantenendola rischiate solo di far ridere i polli.   


Pasquale Motta