La menzione su “Fortune”, l’inizio della fine, in una terra in cui l’essere migliore di altri diventa una colpa che si persegue senza alcuna pietà. L’esultanza di un Paese razzista e fascista che non merita Riace
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Mimmo Lucano - il sindaco di Riace, il simbolo dell’accoglienza - è un sedicente «fuorilegge». Egli ammette di avere infranto delle «leggi balorde» con uno scopo: aiutare il prossimo a sottrarsi ad un ritorno nel paese d’origine, alla fame, alla violenza, alla tratta sessuale.
«Fuorilegge contro leggi balorde»
Le leggi degli uomini - quelle che, non solo secondo Lucano, sono appunto «balorde», perché spesso lasciano assassini, stupratori e mafiosi in libertà e mettono ai ferri chi si sporca la mani per un mondo migliore - forse lo condanneranno. O forse no. Forse, tra qualche anno, lo vedremo seduto dinanzi ad Alberto Matano, ad “Innocenti”. Forse sarà lui l’Enzo Tortora delle nuove generazioni. Forse chi oggi lo crocifigge – usando le leggi, la tastiera, l’odio politico – un giorno farà come l’ex pm Diego Marmo, quello che in uno dei (tanti, troppi) processi più surreali e dolorosi della storia giudiziaria italiana definì Tortora «un cinico mercante di morte», lo stesso ex pm bocciato dalla storia che finì col chiedere scusa alla famiglia.
“Fortune”, l’inizio della fine
François de La Rochefoucauld sosteneva che «vi sono crimini che diventano innocenti, e perfino gloriosi, a causa del loro splendore». E allora se splende solo ciò che è nobile, Lucano è innocente. Con buona pace di Salvini, della Giustizia ingiusta, dei razzisti, dei puristi, dei leoni da tastiera. Certo, bisogna domandarsi perché, adesso, tutto questo. Quella menzione sulla rivista “Fortune”, che indicò il primo cittadino di Riace tra le persone più influenti al mondo, fu per lui l’inizio della fine. Sarà una coincidenza, ma qui il successo te fanno pagare, senza pietà. Prima le ispezioni sul sistema di accoglienza a Riace: «irregolarità». Poi un avviso di garanzia: un’indagine che fa emergere, a conti fatti, che Lucano e i suoi uffici sono un po’ arruffoni, senza però essersi arricchiti.
Un Paese indegno di Riace
Oggi Lucano non viene arrestato per questo, ma per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per l’affidamento del servizio rifiuti del suo Comune. Per Riace, per il modello Riace, è la fine. Bisognava andare fino in fondo e fino in fondo si è andati. Esulta Salvini. Esultano razzisti e fascisti. Esulta quella parte del Paese che mostra la sua parte più incosciente e primitiva, indegna di un miracolo come quello che negli anni si è concretizzato nel “Villaggio globale” di un paese che stava morendo. Quanti, tra loro, sono stati a Riace? Quanti tra loro hanno conosciuto davvero non Lucano ma le opere di Lucano?
Le parole di papà Roberto
Poco dopo quel numero di “Fortune”, noi ci siamo stati a Riace. La prima persona che incontrammo, per uno scherzo del destino, fu il padre di Mimmo Lucano, Roberto. Un anziano, occhiali e bastone, commosso nel parlare di quel figlio che lo faceva dannare. Ci raccontò di quando Mimmo stava a Bussoleno, in provincia di Cuneo. Faceva freddo, un freddo cane. E un giorno sì e l’altro pure tornava a casa senza il giubbino col quale usciva. C’era sempre qualcuno: un clochard, un immigrato, un disperato, che aveva più freddo di lui. «Ci faceva disperare…», ci spiegava suo padre. «Una volta si avvicinò una suora, chiedeva un aiuto non ricordo per cosa. Lui tirò fuori il portafogli e lo svuotò completamente, senza neppure guardare, e di soldi ce n’erano. E io gli dicevo “Mimmo, ma tu puoi fare questa vita?”».
Lo Stato ingiusto
Uno squattrinato, Lucano, uno che sul conto ha il suo stipendio e, forse, se gli sono rimasti – parole sue - «i soldi per il funerale». Quella mattina lo incontrammo: provava a dare conforto a due donne nigeriane, alle quali era arrivata una disposizione prefettizia secondo cui dovevano essere trasferite a Bocchigliero. Le due donne erano disperate, piangevano, dicevano che non volevano andare via da Riace: dopo una vita di sofferenza avevano trovato un luogo di pace. Lucano, impotente, affranto, ripeteva: «Io vi terrei tutti, ma non posso…». E poi a noi: «Che Stato è uno Stato ingiusto, che Stato è uno Stato che considera le persone non esseri umani ma numeri». Già, la legge è legge. La giustizia è un’altra cosa. La lezione stamani l’abbiamo imparata.
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