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LA STRATEGIA DEL GRUPPO OLIVERIO. Il Lingotto si è svuotato, Matteo Renzi, ha battezzato nella grande struttura dell’ex FIAT la nuova fase del Pd, si potrebbe affermare che lì dove venivano provati i nuovi prototipi della casa automobilistica piemontese, è stato approntato il nuovo prototipo politico che dovrebbe segnare la ripartenza del leader di Rignano alla guida del Pd. Il Renzi azzoppato dal risultato del Referendum da un lato e dalla diaspora scissionista dall’altro lato, tenta la rinascita puntando su di un nuovo linguaggio e formalizzando nuove alleanze. Infatti, oltre al nuovo prototipo renziano, al Lingotto si sono perfezionati i nuovi prototipi regionali che dovrebbero sostenere la campagna delle primarie dell’ex Premier e, tra questi, anche quello dei nostri corregionali calabresi.
La tattica del ragno del Presidente Oliverio, dunque, finalmente si è manifestata. Dapprima facendo trapelare la costituzione di un’area autonoma che aveva suscitato non poche ilarità nel commento di alcuni notisti locali. Ma quando tutti pensavano che Renzi avrebbe snobbato il Governatore, ecco che, l’ex premier, si presenta al portone della cittadella per avere un colloquio riservato con l’illustre inquilino del decimo piano. Top secret sui contenuti del colloquio. Oggi i risultati di quel summit emergono chiaramente. Oliverio sosterrà la battaglia per Renzi segretario. La sua area autonoma però, avrà come riferimento l’area politica del ministro, Maurizio Martina, il quale affronterà queste primarie in ticket con Matteo Renzi. Martina, esponente della sinistra interna e proveniente dalla storia DS, si è rivelato una straordinaria occasione per Oliverio e company per giustificare l’appoggio alle primarie a sostegno dell’ex premier, senza per questo essere accusato di incoerenza politica, considerato il passato dalemiano e bersaniano del protagonista. La geografia politica del Pd calabrese, dunque, si va lentamente delineando, ed è una geografia profondamente diversa da quella venuta fuori sia dall’ultimo congresso regionale del Pd sia da quella che si è assestata con le elezioni regionali dell’autunno del 2014. Sono passati solo tre anni, ma politicamente sembra passato un secolo. Cosa verrà fuori dalle primarie del prossimo 30 aprile in Calabria? Sulla vittoria di Renzi non ci dovrebbero essere dubbi, considerato che, allo stato, solo Carlo Guccione ha palesato la sua intenzione di sostenere il ministro Andrea Orlando nella corsa per la segreteria, mentre a sostegno dell’altro candidato, Michele Emiliano, allo stato non sembra si siano manifestate adesioni di rilievo. Tuttavia, se dalle primarie, dunque, l’area renziana in Calabria dovrebbe uscirne rafforzata, ciò non significa maggiore unità nei gruppi dirigenti calabresi, anzi, per certi aspetti potrebbe venire fuori un quadro politico più complesso e articolato. Definito anche lo strumento con il quale Oliverio affronterà la battaglia per le primarie: una lista con il suo nome. Ciò significherà che metterà in campo tutto il suo peso di presidente della Regione. Segno, dunque, che oltre alla tenuta degli equilibri regionali, in questa partita siano in ballo tutte le collocazioni delle candidature, in vista delle elezioni politiche, che salvo imprevisti, ormai sono collocate nell’inverno del 2018.
IL MOSAICO DEL PD CALABRESE. Quello che sembra certo, è che nel listone del Presidente a sostegno di Renzi siano posizionati oltre la Bruno Bossio, Nicola Adamo e Luigi Guglielmelli, anche Bruno Censore, Michele Mirabello e Vincenzo Insarda’ di Vibo, Sebi Romeo da Reggio Calabria, una grossa pattuglia di consiglieri e dirigenti della provincia di Crotone, Pasqualino Mancuso, Francesco Severino, Michele Drosi da Catanzaro. In embrione anche una lista che fa riferimento al ministro Franceschini che, qui in Calabria, è rappresentata da Franco Laratta e dal consigliere regionale Domenico Bevacqua, è che, potrebbe contare su consiglieri comunali e dirigenti in tutta la regione.
Ci sono poi i giovani renziani, a cominciare dal Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomata’, dal sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, dal presidente del consiglio regionale, Nicola Irto, fino al consigliere comunale di Cosenza Marco Ambrogio.
E poi ancora, bisognerà capire come si posizioneranno gli esponenti dell’area che fa riferimento al vice segretario nazionale del PD, Lorenzo Guerini, la componente più marcatamente democristiana e che, in regione, può contare sull’adesione del consigliere Antonio Scalzo, dei parlamentari Demetrio Battaglia, Nicodemo Oliverio e Stefania Covello. Poi c’è tutta l’area che fa riferimento al Ministro, Maria Elena Boschi ed Ernesto Carbone, i quali possono contare sull’appoggio del parlamentare Ferdinando Aiello e del consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, sempre in questa area, sembra sembra essere approdato il neo Presidente della Provincia di Cosenza, Franco Iacucci, ex capo della segreteria di Mario Oliverio.
Marco Minniti, invece, sembra ormai essersi ritagliato il ruolo del padre nobile, il quale si colloca al di sopra delle beghe correntizie ritagliandosi la funzione, di volta in volta, di pacificatore o di mediatore, oppure di giustiziere. Inoltre, Minniti, si è anche ritagliato un ruolo sempre più solido a livello nazionale, che lo vede tra i maggiori protagonisti della nuova fase politica sancita dalla kermesse del Lingotto.
Questa la mappa, queste le ipotesi, ora bisognerà vedere cosa ne verrà fuori e quali tipi di alleanze saranno elaborate. Probabilmente emergeranno altri listoni. La battaglia sarà durissima anche perché la posta in gioco è molto alta. La tenuta della Giunta regionale, l’eventuale rimpasto, i capilista e le candidature alle prossime elezioni politiche, sono tutte sfide che sono sul tavolo di questa intricata battaglia politica interna al Pd.
LO SCENARIO POST PRIMARIE. Comunque vada, dopo il 30 aprile lo scenario politico sarà profondamente cambiato, l’eventuale vittoria di Renzi sarà fortemente condizionata dalle aree che lo sosterranno in queste primarie. D’altronde, il sistema elettorale venuto fuori dopo la sentenza della Corte Costituzionale e dopo la bocciatura del referendum sulle riforme, sarà un sistema di tipo proporzionale, dunque, piaccia o meno, il governo che ne verrà fuori, sarà comunque un governo di coalizione. E saranno proprio le alleanze l’altro terreno di scontro nelle aree che sostengono Renzi. Già, le alleanze, una battaglia che già si intravede all’orizzonte e che negli interventi dei vari leader al Lingotto si è di fatto palesata tra coloro che, come gli ex democristiani guidati da Franceschini, strizzano l’occhio ai partiti centristi e tra coloro che, invece, a partire da Orfini guardano a sinistra. E mentre la Serracchiani grida che bisogna definitivamente chiudere porte e finestre agli scissionisti, il “campo progressista” allestito da Giuliano Pisapia, al quale si sono affacciati numerosi esponenti del Pd, tra i quali, il governatore del Lazio Zingaretti, pensa, invece, già a coltivare il dialogo con Speranza e Bersani.
LA NUOVA EGEMONIA DEMOCRISTIANA. Tuttavia, sono in molti a pensare che, al di là delle scaramucce sulle alleanze future e al di là degli slogan di Renzi nel definire e definirsi come l’erede e non reduce della sinistra passata, che la fase che si è aperta, sia a forte tasso democristiano almeno in relazione alla strategia da seguire.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il congresso si presenta incerto, non tanto nel risultato quanto nella prospettiva, e ricco di manovre dei vecchi democristiani che hanno aderito al Pd e, solo dopo anni, al gruppo socialista europeo, l'unico storicamente riformista oltre al Psi italiano. Renzi, dopo l’esito referendario, pensava che tutto potesse sistemarsi con una sorta di blitzkrieg, una "guerra lampo", nel partito e nel Paese, i democristiani del Pd, tra i quali, Dario Franceschini, lo hanno riportato con i piedi per terra. La sua visione politica post referendaria, oggettivamente si era dimostrata limitata e provinciale favorendo la perdita di un pezzo significativo di rappresentanti della storia del PD, con una scissione che, ancora, è tutta da valutare sul piano elettorale.
La rivincita minacciata da Renzi nel Paese, dopo un congresso di riconferma a tamburo battente che doveva diventare un pronto ritorno alla urne per la guida del Paese, è stata stoppata dalla prudenza democristiana, molto più protesa in sorta di politica dei due tempi, prima razionalizzare il partito e poi pensare al Governo. Inoltre il governo-fotocopia, quello che doveva sbrigare gli "affari correnti" per conto di Renzi, sembra destinato a terminare la legislatura, a meno che la situazione internazionale non degeneri al punto di un inevitabile ricorso anticipato alle urne anche se ormai di solo qualche mese.
Insomma, come si sostiene in qualche caminetto cattolico, “siamo entrati in una nuova fase democristiana, garantita dal patto Mattarella-Franceschini-Gentiloni. Erano necessari 25 anni per ritrovarsi al punto di partenza?”
Pasquale Motta