Ci deve essere un prima e un dopo, nel rapporto tra il modello Riace e la Prefettura di Reggio Calabria. Un fatto tecnico nuovo, o un indirizzo politico mutato, che agli occhi della pubblica amministrazione ha reso necessario – dopo 19 anni di accoglienza e integrazione - l’intervento drastico e l’effetto fragoroso che conosciamo: tre ispezioni e una indagine della magistratura che ipotizza abuso d'ufficio, concussione e truffa aggravata.

 

La piazza, nella manifestazione di ieri, la denuncia di questo possibile spartiacque – di questo fantomatico complotto politico e giudiziario - non l’ha affrontata. Trattandosi di una iniziativa politica organizzata per tempo – con un “tavolo di presidenza” nient’affatto improvvisato, che ha moderato gli interventi con modalità classiche – viene facile pensare che l’obiettivo esclusivo del concentramento non era quello dell’attacco, bensì della difesa.


Di invettive contro il sistema dei controlli ne avevamo sentite e lette tante, nei giorni successivi alla notifica dei due avvisi di garanzia nell’indagine sul sindaco Mimmo Lucano e suFernando Antonio Capone, presidente dell'associazione "Città Futura-don Pino Puglisi".


I sostenitori del primo cittadino, così ci dicono le cronache, non le hanno reiterate – rimanendo ancorati con coerenza al passaparola di #iostoconmimmolucano – evitando cioè ulteriori forme di un braccio di ferro con l’Autorità che avrebbero nociuto nuovamente alla causa del modello e del suo leader.


Mancando quindi l’elemento dirimente di un contrasto politico possibile, è evidente come tutte le argomentazioni che da qui in poi si potranno sviluppare sul caso lieviteranno a partire da questa occasione pubblica sprecata: se veramente si pensa che nelle società contemporanee rese complesse dal dovere di accogliere, per mettere al sicuro un ventennio di buone e rivoluzionarie pratiche possa bastare l’emotivaesaltazione delle gesta del sindaco di un paesino, l’occasione di ieri non solo è sprecata ma è anche illusoria. Noi non sappiamo, dunque, come migliorare “il modello Riace”, renderlo infrangibile al decorrere del tempo e dei mandati amministrativi, refrattario ai cambi di governo. La piazza non ce l’ha detto, avendo scelto di ricondurre tutto sul terreno della difesa – soprattutto giudiziaria – del sindaco che, per una scelta degli organizzatori che ha destato qualche sorpresa, c’era, si è fatto sentire, ha monopolizzato la scena sin dall’inizio.


«Se ho sbagliato è giusto che paghi», si è sentito dire all’amministratore, durante un intervento in cui ha enfatizzato la sua condizione di innocente, senza ripercorre la via della sfida politica “alla burocrazia” e, soprattutto, finalmente, senza ribadire la minaccia di interrompere i progetti che all’inizio della vicenda – quando lontana ma non impossibile sembrava l’inchiesta giudiziaria - era sembrata la sua unica clava. Un cambio di strategia coerente con l’obiettivo che ora è sembrato, appunto, la difesa nell’inchiesta.


Uno schema che, anche per questa via depennando la difesa sistemica del “modello Riace”, rimanda tutto al responso della Procura di Locri.


Difficile fare previsioni, per la stessa natura di un’indagine che si sta muovendo nel riserbo assoluto e con ampie garanzie per gli indagati, che, da quanto è trapelato, non avrebbero subito restrizioni di sorta nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche.