Teresa Talotta Gullace, questo nome a molti dirà poco o nulla. Ma se dicessimo Anna Magnani, Roma città aperta, immediatamente nella nostra immaginazione apparirebbe la scena centrale del film capolavoro di Roberto Rossellini, l'uccisione della sora Pina mentre corre dietro al camion che porta via il marito catturato dai tedeschi.

È stata la vicenda di Teresa Talotta Gullace, calabrese di Cittanova, ad ispirare Rossellini per il suo film Roma città aperta, considerato il manifesto del neorealismo e uno dei capolavori del cinema mondiale. Questo, del 1945, fu il primo capitolo della Trilogia su la guerra diretta dal grande maestro romano. Nel ‘46 arriverà Paisà e nel ‘48 Germania anno zero.

Ma andiamo a conoscere meglio questa donna calabrese, divenuta il simbolo della Resistenza italiana.

Era il 3 marzo del 1944 quando in viale Giulio Cesare a Roma, di fronte la caserma dell’81° Fanteria, veniva trucidata dai nazisti Teresa Talotta, sposata Gullace, nata nel 1907 a Cittanova, in provincia di Reggio Calabria. Emigrata con il marito Girolamo, entrambi della città pre-aspromontana, è stata uccisa dai soldati nazisti durante l’occupazione di Roma, ammazzata con un colpo di pistola mentre tentava di avvicinarsi al marito prigioniero dei tedeschi.

Aveva 36 anni, cinque figli ed era incinta del sesto. Il marito, Girolamo Gullace, fu arrestato dai nazisti il 26 febbraio 1944 nel corso di un rastrellamento e portato nella caserma dell'81° Fanteria in Viale Giulio Cesare, per essere deportato nei campi di lavoro forzato in Germania.

La storia ci dice che la mattina del 3 marzo, Teresa si presentò davanti la caserma, insieme ad altre donne, familiari di altri prigionieri, reclamando a gran voce che venissero liberati i loro cari.

I tedeschi avevano ammassato nella caserma di Viale Giulio Cesare più di mille uomini da portare in Germania. Mogli, madri e sorelle erano accorse. I fascisti avevano formato un cordone di uomini armati per evitare contatti fra le donne e gli uomini rastrellati.

Teresa, dopo avere scorto il marito ad un finestra, tentò di avvicinarsi a lui per dargli del cibo. Trovò un varco tra la folla, riuscì a eludere il cordone armato e arrivò sotto la finestra. Pare gli abbia lanciato un fagotto con dentro del pane.

Un soldato tedesco, vedendola avvicinarsi alla caserma, le sparò uccidendola. Nonostante la proibizione, il luogo del delitto fu ricoperto da migliaia di mimose.

Teresa Talotta Gullace, questa donna coraggiosa, che osò opporsi alla violenza nazista al prezzo della vita, è diventata il simbolo della Resistenza delle donne del popolo romano e, più in generale, italiano.

Nel 1977 è stata insignita della Medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone con la seguente motivazione: «Madre di cinque figli ed alle soglie di una nuova maternità, non esitava ad accorrere presso il marito imprigionato dai nazisti, nel nobile intento di portargli conforto e speranza. Mentre invocava con coraggiosa fermezza la liberazione del coniuge, veniva barbaramente uccisa da un soldato tedesco».

Nel 1981 in piazza dei Cavalieri del Lavoro a Roma le è stato intitolato un liceo scientifico che ospita un suo busto realizzato dallo sculture Ugo Attardi. Nel quartiere Alessandrino a Roma le è stato intitolato un Centro di Formazione Professionale. A Cittanova, sua città natale, le sono state dedicate una via, una scuola materna e un monumento in bronzo, posto all’interno della Villa comunale.

Il ricordo del figlio Umberto

Il figlio secondogenito della coppia di emigrati calabresi, Umberto Gullace, unico prezioso testimone della famiglia di ciò che accadde alla madre, in un’intervista riportata su Patria Indipendente dell’aprile del 2013, la rivista edita dall'Anpi  (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia), racconta quanto segue.

«I miei genitori erano entrambi di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria. Mio padre, Girolamo Gullace, è nato nel 1903 ed è venuto qui a Roma che aveva diciotto anni: faceva il manovale in cantiere. Mi ha portato in cantiere che avevo tredici anni e ne sono uscito che ne avevo sessantadue. Io lavoravo con le gru, la mia vita l’ho passata nelle cabine: la mattina mi arrampicavo, a mezzogiorno scendevo e pranzavo, all’una risalivo, alle cinque scendevo e andavo a casa. Anche papà è stato sempre in cantiere.

Ha fatto sempre il manovale. Poi io gli ho insegnato a lavorare con la gru, e allora lui stava meglio. È morto nel ’76, aveva settantatré anni.

Mia madre, Teresa Talotta è nata nel 1907. Io sono il secondo di ben cinque figli.
Abitavamo a Vicolo del Vicario in una baracca formata da una sola stanza piccola e ci vivevamo in sette. La fontana per l’acqua e il bagno, se così si può chiamare, erano esterni, non c’era né gas né luce. Era un villaggio di baraccati formato da tutti meridionali che venivano dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Calabria».