VIDEO | L'uomo parla cinque lingue e va in giro nelle scuole a insegnare agli studenti che le persone sono tutte uguali
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Ibrahima Ly mi ha contattato qualche giorno fa per esternarmi la sua gratitudine per aver fatto conoscere la storia di Pietro Pace, il senzatetto di Scalea che anche grazie al nostro aiuto ha finalmente trovato una sistemazione. Ibrahima e Pietro si erano conosciuti qualche anno fa, quando il primo gestiva una casa di accoglienza e ospitava persone bisognose.
Dopo un breve scambio di messaggi mi rendo conto di avere dall'altro capo dello schermo una persona estremamente umana, perbene, con il "vizio" di aiutare il prossimo. Ibrahima mi racconta inoltre che è africano, che è arrivato in Italia nel 2009 e si è perfettamente integrato nel nostro Paese. Così, decido di conoscere la sua storia e lo incontro a casa sua alle 16:30 di oggi pomeriggio.
«Lo studio è la chiave dell'integrazione»
Quando arrivo nel suo appartamento, Ibra mi fa accomodare e mi prepara un caffè. Lo osservo, è una persona estremamente educata e gentile, anche nei modi, risponde ad ogni mia domanda benché io lo incalzi ripetutamente. Sono curiosa, voglio sapere ogni cosa, voglio sapere come si vive nell'Italia di Salvini e soprattutto nell'arretrata Calabria, che a quanto pare tanto arretrata non è. Mentre io cerco di sottolineare la veste razzista degli italiani, lui mi parla di quelli che l'hanno aiutato a diventare ciò che è: un assistente socio-sanitario e un mediatore culturale, che parla cinque lingue e va in giro nelle scuole a parlare agli studenti di immigrati e del fenomeno dell' immigrazione.
Ibrahima è una di quelle persone che secondo il ministro Matteo Salvini avremmo dovuto aiutare a casa sua e che invece, per fortuna, è venuto a casa nostra a portarci un po' di umanità. Per lunghi anni ha gestito una casa famiglia a Scalea per restituire un po' della sua fortuna, dice, e nel frattempo è tornato a studiare con enorme sacrificio, ha aiutati gli stranieri a orientarsi nel nostro Paese, ha trovato l'amore, ha sposato una donna di Santa Maria del Cedro e oggi è padre di una bimba dai riccioli neri.
«Gli italiani non sono razzisti»
Ibrahim mi racconta che in questi anni in Italia diverse volte ha pagato sulla sua pelle il prezzo, salatissimo, dell'ignoranza e della propaganda razzista. «Ma gli italiani non sono razzisti - ci tiene a sottolineare -, hanno un cuore grande». E allora perché, gli chiedo, è stato vittima di episodi riprovevoli? «Vedi - mi dice con convinzione -, qualcuno ha capito che la gente non legge più i giornali, non guarda più i tg, ma si informa su facebook ed è lì che oggi si fa propaganda di ogni genere e si tirano i fili della comunicazione. La gente non è cattiva o razzista, semplicemente segue le mode e non è educata alla diversità, tutto qui. E poi quelli che si lamentano degli stranieri sono una piccola parte, che di certo non rispecchia tutta l'Italia. Poi magari sono anche gli stessi che quando ti vedono in strada ti abbracciano e ti baciano».
E come reagisci agli episodi di razzismo? «Con gentilezza, mi comporto bene per far capire loro che l'odio a priori verso il prossimo è un concetto sbagliato. Lavoro, rispetto le regole, cerco sempre chi è in difficoltà. Non c'è motivo di discriminare me o quelli come me». Poi aggiunge: «Mi rendo conto che qualcosa sta cambiando e sono certo che presto gli immigrati potranno essere accettati come tutti gli essere umani. Basterebbe insegnare alle persone, sin da piccole, che siamo tutti uguali».
Il giornalismo come strumento di contrasto al razzismo
Ibrahim ha molto rispetto del mio lavoro, ritiene che se saputo usare sia uno strumento indispensabile per contrastare una mentalità ottusa e radicata, quella mentalità che sta in quel "ma" che segue a quelle frasi cominciate con un "non sono razzista". Ha molto rispetto del mio lavoro, dicevamo, ed è questo il motivo per cui decide di rilasciarmi un'intervista. Lo fa perché in fondo spera, come me, che queste parole, pur rappresentando una goccia d'acqua in mezzo al deserto di bufale e malainformazione, riescano ad arrivare dritte al cuore di coloro che giudicano le persone in base al colore della pelle, del loro credo religioso, della loro provenienza, e a far cambiare idea ad almeno una di loro. Anche una soltanto.