L'altro giorno esco per un servizio al porto di Cetraro, feudo del clan Muto, tuttora frequentato assiduamente da personaggi intranei alla cosca. Niente di così clamoroso, c'è un bando per l'affidamento del mercato ittico, ma nessuno vuole gestirlo. Le risposte sono più ovvie di ciò che sembra, ma rimanere indifferenti a certi temi è un po' come esserne complici, e per questo decidiamo di capirne di più. 

Quando entro nel piazzale con la telecamera in mano, sembra sia arrivata la Cia. Pescatori nel panico, gente che scappa e si dilegua, qualcuno finge tranquillità ma suda freddo e segue i miei passi con la coda dell'occhio. Non mi meraviglio affatto, è una questione culturale radicata, comune alla maggior parte dei piccoli centri della Calabria, e in generale del sud. 


Proseguo spedita, ma sembro Mosè. Dove passo io non si dividono le acque ma le persone, che non staccano un attimo lo sguardo dal microfono, per capire se quella potentissima arma stia per colpire proprio loro. 


Ovviamente si tratta di poveri cristi, di lavoratori con le mani segnate dalle piaghe per il lavoro, sono vittime di anni e anni di comprensibile gogna mediatica, che temono come la peste, ma in mezzo a loro continuano a confondersi quei disperati che tutt'oggi, per guadagnarsi un tozzo di pane, devono rimanere proni al boss e alla sua famiglia. I guardiani della mala, guappi di cartone senza dignità e senza futuro. 

Due di questi vengono avvisati della mia presenza e si piombano sul posto. I giornalisti, chiunque essi siano, da questi soggetti sono considerati dei nemici per motivi che voi, sicuramente, conoscete benissimo. Ebbene, nella loro zucca completamente vuota provano, a modo loro, ad intimidirmi. Sono a bordo di un mezzo a due ruote e mi sfiorano diverse volte senza mai toccarmi. I guappi non vogliono farmi nulla, ma vogliono farmi capire che mi hanno visto, che mi hanno guardato in faccia, che devo stare attenta a quello che dirò. 

Ma siccome ognuno usa le armi che ha, io all'arroganza e meschinità rispondo premendo il tasto rec della telecamera e gliela punto in faccia. Come previsto, spariscono. E non ritornano più. Ma io ancora non lo so e poco dopo l'affronto sento un mezzo giungere a tutta velocità verso di me. Io sono di spalle e non vedo. Ho paura. Ho paura che siano tornati a vendicarsi. Sento un brivido lungo la schiena, chiudo gli occhi per un istante e aspetto di sentire il colpo attraversarmi la pelle. Trattengo il respiro. Ma erano solo due ragazzini incoscienti a bordo di uno scooter in cerca di ragazze da abbordare. La suggestione è una brutta bestia.

Qualche minuto più tardi mi telefona un amico, che è di Cetraro, gli racconto l'accaduto e mi chiede se ho avuto paura. Gli rispondo così: quando un uomo di Muto incontra una "lince" con la telecamera, l'uomo di Muto è un uomo morto. 

Riattacco. A quella frase non penso più. Almeno fino a quando tre giorni dopo leggo dell'arresto di Mimmo Lucano e alcune intercettazioni che lo riguardano.

Sui motivi che lo hanno portato all'arresto non voglio soffermarmi. I guai di Mimmo Lucano, a mio avviso, sono cominciati quando la rivista americana Fortune l'ha proclamato tra i 50 uomini più influenti della terra. Quella è la colpa più grande di Mimmo, aver trasformato un grande business miliardario, dove attingono politica e malavita, in vita e speranza. Siamo in Calabria, dove per restare in piedi non devi andare oltre la mediocrità, tanto in politica quanto in tutto il resto. Mimmo lo sapeva. Ma che cazzo s'era messo in testa? 

Dicevamo delle intercettazioni. Leggo che Lucano dice di essere un fuorilegge, parla di leggi balorde, parla male di ministri e governi. Sono certa che da qui alle prossime settimane, ai prossimi mesi, sentiremo e leggeremo di tutto, da cosa mangiava a colazione a cosa faceva in camera da letto, perché anche i giornalisti sarebbero tenuti a rispettare norme e leggi che regolano la pubblicazione delle intercettazioni, ma vabbé, tutto fa brodo, specialmente nell'epoca dei click a pagamento. 

In una manciata di ore il lungimirante Lucano, l'eroe dell'accoglienza, un uomo da prendere ad esempio, per alcuni si trasforma in un delinquente approfittatore corrotto e truffaldino. Nessuno conosce gli atti, non gli addetti ai lavori, ma si interpretano a livello personale frasi e parole date in pasto alla bulimica curiosità sociale e le sentenze vengono emesse alla velocità della luce. Dal tribunale dei bar a quello di facebook, passando per i fazioni politiche di una o dell'altra fazione. 


È a quel punto che mi è tornata in mente la frase pronunciata al telefono. Ho pensato: e se fossi io al posto di Lucano? Ho immaginato di essere intercettata, ho pensato che in quel momento dall'altro capo del telefono ci fosse qualcuno che mi vuole incastrare o che mi deve giudicare, e che senza conoscere nulla di me, della mia vita, del mio carattere, estrapola una frase da un contesto che non conosce e legge che la giornalista paladina dei diritti umani "minaccia" un uomo di 'ndrangheta, parla di morte e uccisione come una mafiosa,, con la stessa spocchia, e se ne vanta pure al telefono.

Le cose sarebbero certamente andate così. Se qualcuno avesse letto quelle frasi su un giornale, avrebbe pensato la stessa cosa. In realtà io ero al telefono con una amico fidato, al quale non c'era bisogno di spiegare che stessi scherzando, che quello era solo un modo per esorcizzare la paura, per convincere me stessa che certi episodi non devono intralciare il percorso professionale, né frenare l'entusiasmo. Era una frase innocua, dettata più dalla fragilità, che dal coraggio. La lince, con o senza la telecamera, non è capace di uccidere nemmeno le mosche che ronzano intorno alla testa in un'afosa giornata di luglio, figuriamoci un uomo.  

E di frasi come quelle, e di peggiori, se ne dicono a decine in una giornata. Al telefono con i colleghi, soprattutto, e al telefono con i propri famigliari, con le persone con le quali non c'è bisogno di spiegare nulla, quelle con cui c'è confidenza, voglia di scherzare, di staccare la spina per dieci minuti e di sentirsi liberi. 


Allora mi sono chiesta: se tutta questa gente che oggi punta il dito contro Lucano per ciò che legge dai giornali fosse al posto suo, giudicherebbe allo stesso modo, con lo stesso criterio, con la stessa facilità?

Mi chiedo ancora e vi chiedo: come vi sentireste se qualcuno pubblicasse attimi della vostra vita privata, le vostre frasi pronunciate senza pensare o enfatizzate per questo o quell'altro motivo?


Siete sicuri di voler continuare a fare i giudici di processi di cui non conoscete nemmeno un atto? Ripensate alle vostre ultime telefonate e poi, con calma, rispondete a voi stessi e alla vostra coscienza. E ripensate anche a tutte quelle volte che avete detto a qualcuno: «Ti chiamo, non vorrei essere frainteso, per messaggio non si comprendono appieno i toni». Figuriamoci in una intercettazione, a cui ognuno vorrebbe dare il tono che più gli conviene.