“Il terremoto in Calabria: emozionante salvataggio di una bambina". Così titolava in prima pagina La Domenica del Corriere del 1° ottobre 1905 (Anno 7 - N. 40) illustrata da Achille Beltrame, e la didascalia dell’immagine riprodotta riportava: “Il terremoto di Calabria: una bambina tratta ancora viva di sotto le macerie di una casa a Parghelia, dove rimase sepolta 96 ore”.
Riportiamo fedelmente quanto il cronista ebbe a scrivere sulla rivista milanese – pagg. 8 e 9 – raccontando quanto accaduto alla bambina di 5 anni, rimasta per 4 giorni sotto le macerie, raccolta dentro un mobile da cucina. Una vicenda che commosse l’intera Nazione, a seguito del sisma che sconvolse gran parte della Calabria, avvenuto la notte tra il 7 e l'8 settembre 1905 alle ore 1:43, come riportano le cronache.

 

L'articolo della Domenica del Corriere

“Allorché avviene un grande disastro, i primi che accorrono per aiuto, sotto l’impressione viva che ne ricevono, tendono di solito ad esagerare le proporzioni del disastro stesso. Così fosse accaduto per il terremoto che sconvolse e rovinò l’aspra e pittoresca Calabria! Ma invece le prime affrettate descrizioni giunte di là furono molto al di sotto del vero, al punto che, ogni giorno che passa, l’estensione e la profondità della rovina e dei danni crescono a dismisura.

 

Per un largo raggio di decine di chilometri tutto è sconvolto, caduto, frantumato, seppellendo insieme vite umane e ricchezze. Mai forse come questa volta l’Italia intera si è tanto commossa, ne mai sin qui la beneficenza era intervenuta in un disastro con tanta generosità. Sono centinaia di migliaia di lire che giungono da ogni parte; sono vagoni interi, sono piroscafi di oggetti che i buoni spediscono in Calabria col proposito di fornire pane e riparo a chi non ha né quello né questo. Milano al solito è in prima linea.

 

Alle fotografie dei danni prodotti dal terremoto, riprodotte nel numero scarso ne facciamo seguire delle altre che pubblichiamo di contro e nella pagina seguente. Sono d’una efficacia drammatica che commuove. Esse possono dare l’idea dell’immensità del disastro. Case e chiese sono cadute, e se con quelle è sparito il nido e spesso l’intera fortuna di una famiglia, con le chiese e scomparsa la casa comune, il porto sicuro, il luogo di ritrovo e di consolazione. Il contadino calabrese è credente, profondamente e ingenuamente credente, si che si comprende come molti di essi si tolgano più dei danni patiti dalla chiesa che dalla propria casetta.
Intanto soldati e operai borghesi lavorano giorno e notte ad elevare baracche di tavole, dentro le quali la gente possa riparare nella imminenza del verno, in attesa di casette stabili e meglio riparate. Ma quanta miseria, quante angosce, quanti dolori.

 

Il salvataggio miracoloso -  Anche nel numero scorso abbiamo fatto cenno del salvataggio quasi miracoloso, avvenuto nel comune di Parghelia, di una bambina tratta viva di sotto le macerie della casa dove abitava, dopo 96 ore di seppellimento.
La bambina stessa – che ora trovasi nell’ospitale di Tropea e che i medici sperano strappare alla morte – si chiama Maria Antonietta Colacci, e nacque nel ‘900 a Santa Fè (Argentina) da genitori calabresi ivi emigrati. Dopo due anni dalla sua nascita, la madre Colacci tornò a Parghelia con due bambine, la minore delle quali, Maria Antonietta, fu ceduta alla nonna, con la quale viveva in una povera stanza d’una casetta ad un piano.

 

Al momento della scossa fatale – narra un testimone – il muro della casa limitrofa cadde addosso a quella Colacci, seppellendo nonna e nipote sotto le rovine. La vecchia rimase quasi soffocata sotto il pagliericcio, ricoperto di calcinacci. Appoggiò le mani alle gote proteggendo la bocca per respirare. Terrorizzata, ella chiamò subito la bambina, Maria Antonietta, dicendole: - Sei viva? – E la nipotina: - Nonna mia, sì – Dove sei? – Sotto terra.
La nonna continuò a chiamare la nipote e a chiamare aiuto, ma la nipotina non rispose più. Dopo due ore, due contadini riuscirono ad estrarre l’Anna, ma invano chiamarono la bambina, invisibile sotto il monte delle macerie. Dubitò per un momento di essere vittima di allucinazioni. Chiamò ripetutamente: «Maria Antonietta!», ma non ebbe altre risposte. Alcuni soldati zappatori, guidati da un ingegnere del genio civile, e da un sottotenente del genio, demolivano una casa vicina.

 

La nonna, come impazzita li prese per il braccio, ingiungendo imperiosamente:
- Per amor di Dio, correte qua: salvate la mia nipote, togliete queste macerie. –
Gli ingegneri la guardarono meravigliati, acconsentirono però alla domanda: accostarono l’orecchio al crepaccio e ascoltarono un fioco lamento, che si ripeté più volte.
L’ingegnere del genio civile esclamò.
- È una gatta! –
Il lamento, infatti, somigliava perfettamente ad un miagolio. Gli zappatori rimossero cautamente le macerie e dal foro ingrandito fuggì frettolosamente una gattina. L’ingegnere Zanetti esclamò: «Lo dicevo io!», ma la nonna insistette, e alle preghiere di lei si aggiunsero quelle della zia, arrivata in quel momento.

 

Le due donne, con le mani protese verso i soldati, in atto di preghiera, gridarono: «Dissotterrateci la nostra nipotina!». Gli zappatori si rimisero al lavoro, e appena rimossa una trave si sentì nettamente una vocina.
Fu fatto un buco con la massima prudenza, poi il tenente calò un pezzo di legno sottile, gridando.
- Maria Antonietta, ridammi questo bastone. –
Il bastone subito dopo si sollevò. Ogni dubbio quindi era sparito: la bambina tanto pianta era viva ancora. I tenenti Zanetti e Tricorni personalmente operarono l’estrazione, tolsero man mano il materiale, segarono le sedie, bucarono un armadietto ed ecco apparire la testa della bambina, che fu subito tratta di là.

 

È impossibile descrivere la gioia e la commozione che provarono gli animi di tutti gli astanti. La bambina, pallidissima, aveva gli occhi fuori dall’orbita, le labbra e le orecchie ceree; alla vista del sole abbassò le palpebre. Accorsero i medici e le spuzzarono acqua sul viso. Il polso era debolissimo, ma sul corpo non eravi traccia di lesioni.
La bambina s’era salvata perché, spinta dall’urto del muro, entrò in una credenza della cucina, e quivi era rimasta accoccolata. L’aria che la circondava era poca, ma sufficiente tuttavia per il bisogno del piccolo organismo. Ad essa da principio venne somministrata acqua, poi latte, poi ristori.
Beveva lungamente e si mostrava mai sazia. Riconobbe la zia, la nonna, la madre, e sorrideva e parlava francamente. La popolazione erasi raccolta intorno alla piccola salvata gridando al miracolo.”