Una nuova tecnologia per estrarre fibre naturali dalle piante a impatto zero sull’ambiente. Il brevetto è stato depositato poco più di una settimana fa da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Chimica e Tecnologie chimiche dell’Università della Calabria e rivoluziona il processo di estrazione delle fibre aprendo nuovi e interessanti scenari nella nostra regione e non solo. Coinvolgendo più settori, da quello agricolo a quello tessile fino all’industria della moda o dell’arredamento. Il tutto con una sola pianta, che in Calabria cresce spontanea in grandi quantità: una pianta «eccezionale», come la definisce Giuseppe Chidichimo, il docente che guida il gruppo di lavoro e il cui amore per la ginestra – un’ossessione quasi, ma positiva visti i risultati – trasuda da ogni frase. Come quando racconta di essere andato personalmente a raccogliere le piante in giro con i suoi allievi, «forbici alle mani».

Uno studio che parte da lontano

Il brevetto che porta il nome di “Processo e impianto per la estrazione di fibre cellulosiche da piante liberiane” è stato depositato da poco, come detto, ma lo studio va avanti da diversi anni, anni in cui ha segnato altre tappe. Il primo progetto sulla ginestra, racconta Chidichimo, è stato realizzato tra il 2005 e il 2007. A fare da pungolo era stata la Comunità montana dell’Alto Tirreno cosentino, interessata all’applicazione di fibre vegetali nell’automotive, in particolare nei tessuti per i sedili delle automobili. «Alla guida del progetto c’era il Centro ricerche Fiat – ricorda il docente – e noi intervenimmo come Unical per cercare di riattualizzare le tecniche di sfibratura della ginestra. Producemmo dei tessuti con un piccolo dimostratore perché non avevamo fondi per fare impianti di livello industriale. Riprendemmo le tecniche utilizzate negli anni ’40, quando in Italia c’erano diverse fabbriche che utilizzavano la ginestra, ma estraevano la fibra con metodi manuali: noi facemmo il primo impiantino automatizzato».

Un processo lungo, questo, che poteva richiedere 15-20 giorni solo per la macerazione. «L’avevo sentita raccontare tante volte questa storia della ginestra – dice il professore –, mi parlavano di piante tagliate e lasciate per 15 giorni nel corso del fiume, prima di essere sbattute più volte per estrarre la fibra. Infatti avevo detto: non lo farò mai con l’acqua, lo farò con la soda».

I primi due impianti prodotti dal professor Chidichimo nei laboratori dell’Unical utilizzavano appunto la soda, che consente di ridurre notevolmente i tempi di estrazione. Dopo il primo impianto infatti ne arrivò subito un altro. «La Fiat ci coinvolse in un nuovo progetto, dati i buoni risultati ottenuti col primo, che prevedeva di utilizzare la fibra naturale mescolata alle plastiche per fabbricare materiali che si usano nelle automobili ma anche nei natanti», racconta ancora il docente. Il progetto si chiamava “Matreco”: materiali per il trasporto ecocompatibili.

«Siccome io non ero ancora soddisfatto del livello che si era raggiunto nel primo progetto dello sfibratore – prosegue Chidichimo –, rilanciai l’idea di lavorare ancora sulla sfibratura e così producemmo un prototipo migliore. Naturalmente anche stavolta si trattava di un impianto pilota da laboratorio, non di un impianto industriale. Producemmo comunque un secondo prototipo più efficiente del primo, che si basava sull’utilizzo di spazzole rotanti per estrarre la fibra dalla ginestra una volta che questa era stata macerata nella soda».

Il nuovo brevetto

E da qui si arriva a oggi, a un nuovo processo e a un nuovo impianto. Un processo che per la macerazione utilizza solo acqua, proprio come avveniva in passato, ma con tempi notevolmente ridotti: non più di un giorno e mezzo. E un nuovo meccanismo di estrazione delle fibre. «Dati i buoni risultati derivati dall’integrazione della fibra di ginestra con i materiali plastici, il Centro ricerche Fiat ci ha coinvolto in un ulteriore progetto che si chiama Forestcomp, che non riguarda solo la ginestra ma in generale fibre vegetali a rapida crescita, da cui estrarre componenti utili per l’industria, in particolare la cellulosa», dice ancora il docente.

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