Paolo Borsellino sapeva anche che il tradimento di qualcuno sarebbe bastato. Ciò anche se una moltitudine si aprisse a un cambiamento, iniziasse a capire la Sicilia e quella mafia spietata e a scegliere.  Il 19 luglio 1992 il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Agostino Catalano e dagli agenti Emanuela Loi (la prima donna componente di una scorta a essere morta in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, rimasero vittime di un attentato dinamitardo, un agguato mafioso in piena regola. A quell’infernale esplosione in via D’Amelio a Palermo, consumatasi sotto la casa della madre del giudice, sopravvisse solo l’agente Antonino Vullo.

Paolo Borsellino era consapevole del fatto che la mafia in Sicilia si fosse nutrita dell'inconsapevolezza che dilagava. In quella stessa inconsapevolezza anche lui da giovane aveva vissuto. La sua lotta iniziò da adulto quando si ritrovò fianco a fianco del suo amico di infanzia Giovanni Falcone. In quel momento il senso della sua permanenza in Sicilia divenne chiaro.

A distanza di oltre trent'anni dalle stragi del 1992 la lotta deve restare strenua e ferma. Resta anche il suo testamento morale. «La lotta alla mafia dev'essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».

La piaga mafiosa non è debellata ma si è trasformata, infiltrando lo Stato e l'economia. Oggi più che mai occorre che gli adulti diano l'esempio e che i giovani abbiamo questo esempio sano da seguire, arrivando a «negare il consenso alla mafie», come auspicava proprio Paolo Borsellino. Uno striscione con questa sua citazione apriva un nutrito corteo sul corso Garibaldi di Reggio durante un partecipano corteo antimafia nel febbraio del 2007.

Meno di due mesi prima, la strage di Capaci del 23 maggio 1992 che aveva spezzato la vita dell’amico e collega Giovanni Falcone, morto insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

L'agenda scomparsa e "L'agenda ritrovata"

Scrive Gioacchino Criaco, giocando con le parole della celebre citazione di Giovanni Falcone: «Gli uomini. Passano una parte della vita a disperdere ogni cosa e l'altra a ritrovare e a rimettere insieme tutto perchè da giovani si hanno nemici da abbattere, da vecchi mondi da difendere». Sempre una forma di lotta e di resistenza è, e non esonera generazione alcuna. Apre così il suo racconto "La Memoria del Lupo", lo scrittore calabrese Gioacchino Criaco, tra coloro che hanno tessuto l'intreccio letterario dell'"Agenda Ritrovata. Sette racconti per Paolo Borsellino" (Feltrinelli 2017).

L'agenda ritrovata è un progetto di memoria alternativo che si propone di custodire la complessità della vicenda personale senza imprigionarla nel passato e animandola con nuova vita, nuove parole, nuove storie. Lo spunto per questa staffetta letteraria che ha coinvolto scrittori di tutta Italia è stata proprio quell'agenda rossa donata a Paolo Borsellino dai carabinieri e scomparsa esattamente 32 anni fa nel giorno di quella infernale deflagrazione in via Mariano D'Amelio a Palermo. Continua a leggere su IlReggino.it