Nel 1985 Craxi disse: «Si farà entro dieci anni». Ne sono trascorsi 40 di un dibattito che si era già aperto molto prima e della grande opera c’è traccia solo nelle parole di chi a ogni giro di boa dichiara di volerlo realizzare. Mentre torna l’interrogativo: a una o tre campate? (ASCOLTA L'AUDIO)
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Partiamo dal mezzo. Né dall’inizio né dalla fine. L’anno è il 1985 e sul Corriere della Sera esce un articolo che esordisce così: «Uscito dalla fase delle idee per entrare in quella della concreta realizzazione…».
Quell’articolo parlava del Ponte sullo Stretto e nella fase della «concreta realizzazione» lo aveva fatto entrare nientemeno che l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi definendolo «un’opera da primato mondiale che attirerà su di noi l’attenzione di tutti i Paesi civili». Ma dell’opera da primato mondiale Craxi non riuscirà mai a vedere non solo la fine, ma nemmeno l’inizio. Nonostante le più che rosee previsioni: nello stesso articolo si parla di «tempo previsto per l’opera, dieci anni» e dunque di «ultimazione entro il 1995-1996; certamente prima del Duemila».
L’eterno ritorno del Ponte
E allora facciamo un bel balzo in avanti e arriviamoci a quel Duemila. Anzi, superiamolo con un altro bel balzo e atterriamo direttamente nel 2015, trent’anni dopo l’annuncio trionfalistico sul Corriere (e 60 dopo la costituzione del Gruppo Ponte Messina, poi sostituito nel 1981 dalla Società Stretto di Messina, posta in liquidazione nel 2013). Nel consueto ping pong tra l’oblio e il “mi ritorni in mente” si inserisce l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano che ripesca il Ponte dal cilindro per infilarlo nel suo “piano di rilancio del Mezzogiorno” presentato allo Svimez. «Non è possibile che l’alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria e poi ci si debba “tuffare” nello Stretto, per poi ricominciare a viaggiare a… bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare», sono le sue parole.
E di parole, da allora, se ne sono dette ancora tante. Come quelle di un altro ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che nel 2020 dà alle stampe il suo libro “La mossa del cavallo” tra le cui pagine si legge un’ardita affermazione: «Per vincere la sfida della povertà serve più il ponte sullo Stretto che il reddito di emergenza».
E deve pensarla così anche il nuovo Governo di centrodestra, che appena insediatosi non ha perso tempo a rimettere sul tavolo il Ponte sullo Stretto. E questa volta, garantiscono, per farlo davvero. La palla è in mano al nuovo ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che proprio in questi giorni ha incontrato una delegazione del Consiglio nazionale degli ingegneri per parlare, tra le altre cose, proprio dell’incompiuta più incompiuta di un territorio che l’argomento lo conosce bene. E il Ponte sarà anche al centro del colloquio previsto per martedì prossimo con i due presidenti di Regione Occhiuto e Schifani.
A una o tre campate?
Tutto fatto, quindi? La storia insegna che conviene andarci cauti. Allo stato attuale la Corte dei Conti sta valutando la copertura finanziaria del decreto varato dall’ex ministro Giovannini. E poi, verosimilmente, ci sarà ancora da discutere. Non solo e non tanto sull’eterno fuoco incrociato tra i sostenitori dei pro e quelli dei contro, ma anche sul tipo di progetto a cui dare esecuzione. In campo ci sono due soluzioni: il “vecchio” ponte a campata unica e l’idea del ponte a più campate.
Un dibattito che vanta, anche questo, una lunga “carriera”: nel 2011 WeBuild (ex Impregilo) sembrava aver messo a tacere definitivamente le discussioni su attraversamenti sopra e sottomarini sfornando il progetto di un ponte a campata unica. Ma nel 2021 il gruppo di lavoro del Ministero delle Infrastrutture (guidato da Enrico Giovannini) rimescola le carte in tavola, peraltro andando a ripescare un’idea già scartata nel 1990: «Il Gdl ritiene che la soluzione aerea a più campate sia potenzialmente più conveniente di quella a campata unica», si legge nella relazione. Una soluzione che, se preferita, farebbe ripartire tutto da zero: nuovo tracciato, nuovi studi, piloni che non si sa dove saranno impiantati, tempi che ancora una volta si dilatano, costi che lievitano.
Uno spettro si aggira tra Calabria e Sicilia…
Con gli ambientalisti ancora e sempre sul piede di guerra per l’impatto che, sostengono, l’opera avrebbe sul territorio e i sostenitori che invece in primo piano tra i pro mettono proprio la riduzione dell’inquinamento causato dai traghetti. Da ultimo, ci si è messo anche Salvini a parlare di un’opera green. E se il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi prova a stroncarlo parlando di «miraggio», lui, al momento almeno, dimostra di andare avanti spedito. Ma nella lunga storia del Ponte sullo Stretto se ne sono viste talmente tante che ormai crederci richiede una fede incrollabile. Mentre il solito spettro si aggira tra Calabria e Sicilia: che non sia la solita arma di distrazione di massa utilizzata a ogni giro di boa per non parlare di infrastrutture reali?