Il Consiglio di Stato ha ripetutamente dato ragione alle ricorrenti imprese proprietarie di diversi impianti pubblicitari ma nel frattempo i dirigenti comunali avevano dato ordine di eseguire le ordinanze di demolizione senza aspettare le pronunce dei giudici amministrativi di secondo grado (ASCOLTA L'AUDIO)
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
Da caso che doveva restare confinato ad un ambito esclusivamente tecnico-giuridico ad esempio di cattivo modus operandi della pubblica amministrazione il passo, a volte, è davvero breve. Se poi ci si trova dinanzi all’operato negli ultimi anni del Comune di Vibo Valentia, il passo è ancor più breve e la fretta nell’agire non solo si è trasformata in cattiva consigliera, ma è stata anche capace di arrecare danni incalcolabili ad imprese e cittadini.
I fatti
Andiamo ai fatti: dopo un “tira e molla” durato anni con ordinanze di demolizione emesse dal Comune di Vibo Valentia per abbattere diversi impianti pubblicitari presenti sul territorio comunale, il Consiglio di Stato – su ricorso delle società Pubbliemme srl, Ige Comunicazioni e Affitalia Outdoor srl – ha stabilito che non occorre alcun permesso a costruire per l’installazione degli impianti pubblicitari. L’intera materia è infatti regolata da una disciplina speciale, e completa, del Codice della strada del 1993 e nei regolamenti comunali che prescrivono la sola autorizzazione da parte del Comune. I giudici amministrativi, quindi, riformando in toto le decisioni assunte dal Tar di Catanzaro hanno dato ragione ai ricorrenti annullando le ordinanze emesse nel 2011 e in epoca successiva dal Comune di Vibo Valentia (dirigenti Demetrio Beatino e Filippo Nesci) con le quali era stata disposta la demolizione degli impianti pubblicitari.
La valenza delle pronunce e la pubblica amministrazione “ammazza-imprese”
Le sentenze hanno avuto importanti ripercussioni a livello nazionale, ribaltando anche precedenti pronunce di segno contrario in materia affermando alcuni principi di diritto. Secondo i giudici amministrativi di secondo grado, infatti, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore anche il rilascio del permesso a costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio che risulterebbe sproporzionata – ha spiegato il Consiglio di Stato – perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.
Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, per il Consiglio di Stato vanno perseguiti dai Comuni non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma nel rispetto del principio di semplificazione all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dal Codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata solo nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie.
Del resto, il Consiglio di Stato ha pure ricordato che già il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e per le opere in genere (non equiparando quindi l’installazione di un semplice impianto pubblicitario, anche di grandi dimensioni, alla costruzione di una casa o un palazzo).
Le conseguenze e il Comune di Vibo
Dicevamo che la fretta è spesso “cattiva consigliera” e può arrecare danni irreparabili. Cosa è infatti accaduto a Vibo Valentia? Basandosi solo sulle pronunce del Tar – e senza quindi attendere in diversi casi le pronunce del Consiglio di Stato – il Comune di Vibo ha dato esecuzione negli ultimi anni alle ordinanze di demolizione di molti impianti pubblicitari di proprietà delle imprese ricorrenti. Ordinanze che poi i giudici amministrativi di secondo grado hanno ritenuto illegittime non occorrendo il permesso a costruire (o licenza edilizia che dir si voglia), ma solo l’unica autorizzazione prevista dal Codice della strada. Sono state così ritenute dai giudici illegittime le demolizioni degli impianti pubblicitari eseguite nel novembre 2015 a Vibo Valentia in piazza Spogliatore, con il Comune che si è affrettato a rimuovere gli impianti anche nel gennaio 2019 con l’ausilio dei vigili del fuoco.
Decisioni che hanno esposto il Comune di Vibo Valentia ad azioni risarcitorie non indifferenti da parte delle imprese titolari degli impianti (Pubbliemme srl, Ige Comunicazioni e Affitalia Outdoor srl) per il danno provocato da demolizioni che il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittime. Un modus operandi della pubblica amministrazione, dunque, “ammazza-imprese” e che ricadrà anche sulle spalle dei cittadini. Le sole spese per demolire gli impianti pubblicitari sono infatti sinora costate al Comune oltre 50mila euro. Denaro che poteva essere speso diversamente, soprattutto perché – sentenze alla mano – gli impianti non andavano demoliti e, alla conclusione delle sicure azioni risarcitorie, il Comune dovrà sborsare ben altro e più consistente denaro. Pubblico, si intende.