Pochi dubbi, anzi nessuno, sulla necessità del ponte sullo Stretto per lo sviluppo del Sud. Tanti, invece, sul lavoro di un governo che, ancora una volta, sta dimostrando solo l’intenzione di perdere altro tempo. E mai come in questo caso è vero che il tempo è denaro. Roberto Di Maria, ingegnere civile e amministratore del blog “Sicilia in progress”, si occupa della questione da anni, scrivendone e discutendone con esperti nei webinar che organizza per il suo blog. Strenuo sostenitore del ponte a unica campata, definisce «incredibile» l’esito della relazione del gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture, che riporta alla luce una soluzione ormai messa da parte trent’anni fa.

In quel documento il ponte a tre campate è giudicato più conveniente rispetto a tutte le altre soluzioni, anche a quella del ponte a campata unica, per il quale esiste un progetto già approvato nel 2011. Lei sostiene il contrario, perché?
«Intanto è incredibile che il gruppo di lavoro ministeriale prenda in considerazione un progetto che è stato scartato definitivamente nel 1990 con una relazione che era una pietra tombale. Vi si diceva infatti che la sistemazione dei piloni in acqua è un problema difficilmente risolvibile per due motivi: il primo è che si andrebbe a lavorare in una zona dove ci sono correnti fortissime, l’altro è che questi piloni andrebbero a poggiare su faglie attive. Il ponte a campata unica ha il vantaggio di avere i piloni sulle sponde, quindi sulla terraferma, e nelle zone individuate non ci sono faglie attive. Non solo, i piloni in acqua potrebbero creare grossi problemi alla navigazione: intanto perché un ostacolo in un’area trafficata come quella è un rischio per chi naviga, ma lo è anche per lo stesso pilone che potrebbe essere pesantemente danneggiato in caso di contatto con una nave container».

Si tratta di criticità irrisolvibili?
«Sicuramente sono da risolvere, magari sono anche risolvibili, il problema è quanto mettere in campo una nuova – si fa per dire – soluzione viene a costare e quanto sia problematico per la sicurezza. Se all’inizio degli anni ’90, dopo decenni di discussioni, si è individuata la campata unica come soluzione migliore di tutte, perché nel 2021 se ne va a ripescare una messa da parte trent’anni prima? Probabilmente si vuole “buttare la palla in tribuna” per far partire un altro decennio di studi e poi eventualmente fra dieci anni ripensarci. Avere un progetto approvato nel campo dei lavori pubblici è una cosa preziosa. Tra l’altro noi abbiamo già un appalto assegnato. Se dal Ministero partisse un input i lavori potrebbero cominciare a breve, se invece si opta per un altro tipo di opera bisogna ripartire dagli studi di fattibilità: sondaggi, rilievi, perforazioni e tutta una serie di analisi già fatte per il ponte a campata unica. Dopodiché andrebbe rifatto il progetto definitivo. Per queste cose ci vogliono anni: per arrivare al progetto del 2011 gli studi sono cominciati a metà degli anni ’90. Ci sono voluti vent’anni. A voler essere ottimisti, stavolta ce ne vorrebbero almeno altri dieci».

Questo si traduce anche in un incremento di costi…
«Assolutamente sì. Pensi che il Ministero – e questo secondo me è un po’ sospetto – ha stanziato 50 milioni di euro per gli studi all’atto di nomina della commissione con l’ex ministro De Micheli. Se non si sapeva ancora quale sarebbe stato l’esito della relazione, perché stanziare 50 milioni?».

Ci sono però anche delle questioni ambientali sollevate da chi sostiene la propria contrarietà al ponte. Prima di tutto il rischio sismico di quell’area.
«Il ponte sarebbe una struttura sicurissima in caso di terremoti perché è progettato apposta per resistere a magnitudo elevate. Semmai il problema dei ponti sospesi sono i venti, ma anche questo problema è stato risolto. Quella che è stata progettata è una campata perforata, riesce cioè a far passare il vento senza risentire delle spinte. Questo stesso sistema è attualmente utilizzato in Turchia dal Canakkale Bridge, ponte lungo due chilometri sullo Stretto dei Dardanelli per fare il quale hanno copiato il progetto del nostro ponte. Solo che loro l’hanno fatto e noi ancora parliamo».

C’è anche la questione dei materiali di scavo.
«Che non si pone perché c’è una soluzione a impatto ambientale zero, che è quella di utilizzarli per il ripascimento delle coste».

Altra obiezione sollevata è che le zone dove dovrebbero essere impiantati i piloni del ponte a campata unica sono realtà già ipercostruite.
«Non mi risulta. Sulla sponda messinese, per esempio, si tratta di una delle aree meno popolate. Ovviamente si dovrà fare qualche esproprio, ma si tratta di espropri per pubblica utilità. Certo, ci sarà sempre qualcuno che rimarrà scontento, ma questa è un’opera che riguarda 60 milioni di persone, quindi l’interesse del singolo viene meno e comunque il bene espropriato sarà ripagato a valore di mercato».

Ne dico un’altra allora: non si dovrebbe puntare a ridurre il trasporto su gomma?
«Il ponte sullo Stretto sarebbe un ponte stradale e ferroviario: è l’unico modo, anzi, per trasferire su ferro il trasporto su gomma. Trasferire un container dalla gomma al ferro conviene quando gli spostamenti superano i 700 km. Perché si dovrebbe mettere un container che sbarca, poniamo il caso, ad Augusta su ferro se rimane in Sicilia? Serve un sistema per trasportare le merci su ferro nel continente: il ponte è questo».

Ma ci sono già i traghetti…
«I traghetti però hanno una rottura di carico, che ancora di più rende sconveniente l’utilizzo del treno. In Sicilia le merci non circolano più in treno, l’assenza del ponte ha ucciso il trasporto merci su ferro. Entro il 2030 l’Europa ci impone di trasferire il 30% del trasporto merci su ferro: come si fa a rispettare questa quota senza ponte?».

A chi serve di più il ponte sullo Stretto: alle merci, ai pendolari o al turismo?
«A tutti e tre. Sicuramente metterebbe in moto un trasporto merci che oggi è impossibile. E il trasporto merci non è fine a se stesso ma è funzionale a tutto il sistema portuale locale. Attualmente per le grandi navi portacontainer non c’è convenienza a sbarcare in Sicilia. Il ponte rilancerebbe tutta la portualità siciliana mettendola a sistema con la portualità meridionale e farebbe del Sud, anche della Calabria, un enorme molo proteso verso il Mediterraneo. Darebbe insomma attuazione a una potenzialità che esiste e che non viene messa in atto, il tutto a favore dei porti del Nord. Per quanto riguarda i pendolari, è prevista la metropolitana dello Stretto, un sistema pensato per servire la parte a nord di Messina e la parte di territorio tra Reggio e Villa San Giovanni. Ultimo punto: il turismo e il trasporto passeggeri in generale. Solo con il ponte si potrà realizzare l’alta velocità. Senza collegamento stabile la Sicilia è tagliata fuori dall’alta velocità. I flussi di traffico che attiverebbe il ponte sono flussi che giustificherebbero un raddoppio ferroviario».

Non rischia di essere una cattedrale nel deserto?
«Allora in tutti questi anni che il ponte non è stato fatto avrebbero dovuto essere realizzate delle infrastrutture straordinarie. Invece non abbiamo né manutenzione né infrastrutture nuove né il ponte. È tutto collegato: pensare che si facciano infrastrutture scollegate dal discorso del ponte è assurdo. Bisogna fare sia il ponte sia le infrastrutture e potenziare quelle che ci sono».