Limbadi, Terranova Sappo Minulio e Seminara: sarà in questo triangolo di terra tra la provincia di Vibo e quella di Reggio, già fortemente segnata dagli sfasci ambientali legati ai maxi cantieri pubblici (e dagli interessi della ‘ndrangheta sui medesimi), che finiranno gli scarti derivanti dai lavori per il ponte sullo Stretto: più o meno 2,5 milioni di metri cubi di «materiale inerte» e «speciale non pericoloso».

Una montagna di terra, pietre e altro materiale classificato come speciale che dovrà essere caricato su migliaia di camion (oltre 70mila, secondo una stima approssimativa, considerando una media di 35 metri cubi per camion) che faranno la spola (sulle efficientissime strade del Reggino) tra i cantieri calabresi dalla maxi opera e quattro differenti discariche (temporanee e definitive) tutte poste piuttosto lontano dai cantieri stessi. Quattro siti sedi in passato di cave estrattive e in cui dovrebbe essere dirottato il materiale classificato come «terre e rocce da scavo proveniente dalle lavorazioni relative alla costruzione dell’opera ponte sullo Stretto di Messina». Una montagna di materiale di risulta che andrà ad appesantire, modificandoli in modo sostanziale, territori già provati in passato dall’intervento dell’uomo e che ingrigisce la narrazione governativa sull’opera «più green della storia».

È la relazione a cura della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale del Ministero dell’Ambiente a riportare i piani relativi alle zone da cantierizzare, siti di deposito compresi: il documento è stato rilasciato il 15 marzo del 2013, meno di un mese prima che il Governo Monti mettesse la società “Stretto di Messina” in liquidazione, congelando l’iter fino all’ultima accelerazione targata Salvini.

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In principio la Stretto di Messina aveva individuato due siti, entrambi nel comune di Melicuccà, in cui riversare gli inerti che saranno prodotti dai lavori del ponte. Arroccato sul versante tirrenico d’Aspromonte, il piccolo centro reggino è già sede di una terrificante discarica in uso fino alla fine del secolo scorso e, sempre sul suo territorio, la Città metropolitana ha individuato il sito che dovrà accogliere la nuova discarica di servizio relativa alla Piana di Gioia Tauro.  Accantonati i due siti di Melicuccà per via delle numerose criticità ambientali riscontrate dai tecnici, la Stretto di Messina stilò quindi un nuovo elenco in cui individuava altri 16 siti. Scartate le ipotesi Polistena, Oppido, Cittanova, Sant’Eufemia, Cosoleto, Cinquefrondi, Rizziconi e Melicucco, la scelta finale, certificata con una variante al progetto, ricadde su quelli che, ad oggi, vanno considerati come siti definitivi, tre in provincia di Reggio, uno in quella di Vibo.

La cava di Limbadi 

Storico feudo dei Mancuso, il territorio di Limbadi è già stato teatro di imponenti stravolgimenti ambientali legati al movimento terra. Proprio da una cava di Limbadi, che gli inquirenti identificano come trampolino di lancio per l’espansione economico mafiosa del clan storicamente legato ai Piromalli di Gioia, fu scavato il materiale con cui venne costruito il porto di Gioia Tauro. Ed è proprio a Limbadi che la Stretto di Messina intende creare una discarica “monstre” da 1,5 milioni di metri cubi di inerti. A cui se ne aggiungerà una seconda, temporanea, da 335mila metri cubi. «Il sito – si legge nella relazione – è localizzato su un rilievo collinare, un tempo utilizzato come cava di inerti, e si presenta in stato di degrado e abbandono. L’intensa attività estrattiva nel corso degli anni ha modificato l’assetto originario dell’area che appare profondamente alterata, con spaccature ben visibili, anche a parecchi chilometri di distanza».

Tra i due torrenti a Terranova

Identificato sulle carte come “Cra 4” il sito di Terranova interessa uno dei centri più piccoli dell’intera provincia, in una porzione di territorio che presenta anche dei laghetti. Poco più di 400 abitanti tra i comuni di Taurianova e Varapodio, anche il minuscolo comune del Reggino è stato sede in passato di una cava. «Il sito ubicato nel comune di Terranova – si legge nella relazione – nell’area compresa tra i torrenti Razzà e Marro, è identificabile in un’area in cui sono ben visibili gli esiti di estrazione di materiali litoidi (che hanno creato i laghetti) sia da altre attività più riferibili all’allevamento. Il sito, aldilà dei laghetti che mostrano un certo interesse ambientale, risulta nel complesso alquanto degradato». Due le discariche previste in funzione dei lavori del ponte: «Una di depositi temporanei, per un totale di 140 mila metri cubi, ed un successivo deposito definitivo di circa 40 mila metri cubi, ubicato sull’impronta del deposito temporaneo».

Sul fondo del laghetto

Anche Seminara ha un lungo, e piuttosto tormentato, passato rispetto ai lavori pubblici. È nella frazione di Barritteri infatti che aveva sede il campo base del terzo maxi lotto per l’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Ed è su quei lavori che, hanno stabilito i processi, si era sviluppata una delle faide più feroci del territorio. Sono due i siti individuati dagli ingegneri della Stretto di Messina che saranno allestiti a Seminara: il primo destinato ad accogliere gli inerti, il secondo deputato ad ospitare una discarica di rifiuti speciali non pericolosi.

«Il sito – scrivono i tecnici del Ministero – è identificabile all’interno di una cava che ha originato i laghetti presenti ed è ubicato alla destra del torrente Calabro, in stretta adiacenza al laghetto ivi presente». Anche in questo caso è prevista la realizzazione di un deposito temporaneo da 275mila metri cubi «che sarà poi inserito nelle lavorazioni per la realizzazione del ponte» e di uno definitivo da 210mila metri cubi. Sempre a Seminara infine è prevista la realizzazione di un’altra discarica destinata ai rifiuti speciali in località “Bizzola”: «Il sito prescelto andrà a soddisfare la necessità di deposito materiale inerte, fanghi da fitopressa derivanti dalla depurazione dalle acque di lavaggio degli inerti e fanghi provenienti da jet e diaframmi, Vtr, Spritz, Conglomerato proveniente dallo smarino e macerie da demolizione».