Una vicenda giudiziaria intricata e complessa snodatasi tra Milano, Roma, Catanzaro e Bari. Diversi filoni processuali protrattisi fino al 2005 ma nessun responsabile consegnato alla giustizia
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La strage di Piazza Fontana a Milano
La bomba che "deviò" la Storia dell'Italia. La strage di piazza Fontana. La prima strage. Un ordigno collocato dal gruppo terroristico di estrema destra Ordine Nuovo. Una matrice neofascista il cui fondamento giudiziario si consolidò dopo decenni di inchieste e processi che però non produssero condanna alcuna. 12 dicembre 1969, ore 16:37, 17 vittime, 88 feriti: ecco i numeri dell’infernale deflagrazione che ebbe luogo 55 anni fa all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano. Contemporaneamente, sempre a Milano, una seconda bomba inesplosa in piazza della Scala e a Roma altri tre attentati - Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, piazza Venezia e Altare della Patria - provocarono 16 feriti. Era in corso il primo drammatico anno di Piombo. Un atto di dichiarazione di guerra alla Repubblica.
Il Golpe e il laboratorio in Grecia
Era solo l'inizio di quella strategia della tensione di cui aveva parlato per primo nel suo articolo dal titolo “Greek advice for a coup in Italy", pubblicato il 6 dicembre 1969 sulle colonne dell'Observer, il giornalista britannico Leslie Finer, all'epoca corrispondente in Grecia del settimanale inglese, rivelando al mondo di un golpe di Stato in preparazione in Italia e il cui laboratorio era stato la Grecia della dittatura dei colonnelli. Colpo di Stato organizzato da Julio Valerio Borghese, già comandante della X flottiglia Mas durante la Repubblica di Salò, e sotto l’egida del Fronte nazionale e di Avanguardia azionale, poi rinviato al 1970 (anno dei Moti di Reggio) e anche in quell'anno misteriosamente annullato.
La prima strage
La bomba di Piazza Fontana fu la prima. Ne seguirono altre: questura di Milano il 17 maggio 1973, stazione di Gioia Tauro con il deragliamento del treno del Sole il 22 luglio 1970, a Peteano di Sagrado in provincia di Gorizia il 31 maggio 1972, in Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974, alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 e gli attentati ferroviari San Benedetto Val di Sambro nella Grande galleria dell’Appennino con l'attentato dinamitardo al treno Rapido 904 il 23 dicembre 1984 e all'Italicus nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974.
Una violenza feroce, un atroce dolore per i familiari aggravato da una vicenda giudiziaria complessa, lunga oltre trent'anni ma inconcludente, con una verità storica che non ha avuto colpevoli, mandanti o esecutori che potessero essere assicurati alla giustizia. Una storia stridente con i valori della nostra Repubblica e della nostra Costituzione, scandita da depistaggi, morti sospette, sentenze contraddittorie e tardive. Troppo Tardive. Nel 2005, la Cassazione identificò un gruppo eversivo di estrema destra non più perseguibile, quale mandante. Ma nessuna esecutore. Un mistero che pesa sulla coscienza della nostra Repubblica.
Trentasei anni di processi senza colpevoli
Una vicenda giudiziaria intricata e complessa snodatasi tra Milano, Roma, Catanzaro e Bari con diversi filoni processuali protrattisi fino al 2005 e conclusi con nessun colpevole consegnato alla giustizia. Tra prescrizioni (l'unico condannato ma con pena prescritta su per Carlo Digilio del gruppo neofascista di Ordine Nuovo), ergastoli commutati in assoluzioni e giudicati non più soggetti a processo, la strage è rimasta di fatto impunita. Una ferita aperta nella vita dei familiari e nella nostra democrazia.
La prima pista anarchica
In un Italia in cui le tensioni avevano generato il progetto preciso di controllare gli anarchici facendo infiltrare elementi della destra eversiva, fu anarchica la prima pista di indagine battuta dalla questura di Milano, quella che portò il 14 dicembre successivo all'arresto di Pietro Valpreda, del circolo Bakunin e fondatore con alcuni amici circolo anarchico 22 marzo. Indiziato numero uno, con lui fu arrestato anche Mario Merlino, militante di Avanguardia Nazionale.
Gli anarchici della Baracca a Roma
I fermi in quei giorni immediatamente successivi furono numerosi e anche in ambienti anarchici di Roma. Sempre il 14 dicembre, per gli attentati dinamitardi in danno all'Altare della Patria e dello stabile della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio consumatisi sempre il 12 dicembre a Roma, con altri militanti dei circoli 22 marzo e Bakunin furono interrogati anche gli anarchici reggini della Baracca Francesco Pesce, Angelo Casile, Gianni Aricò. Con loro anche la giovane tedesca AnneLiese Borth. In quel periodo erano a Roma. Interrogati ebbero modo di proclamare l'estraneità di Valpreda e degli anarchici alla strage. In quella circostanza avevano riferito del tentativo nell’estate del 1968 di alcuni fascisti di Ordine Nuovo, di costituire anche a Reggio un circolo anarchico 22 Marzo, e di aver visto a Roma Vincenzo Pardo e Giuseppe Schirinzi, due fascisti di Avanguardia nazionale responsabili dell'attentato dinamitardo alla questura di Reggio Calabria di tre giorni prima.
L'ultimo viaggio...
Gianni Aricò e Angelo Casile furono rilasciati dopo qualche settimana e fecero ritorno a Reggio Calabria. Anneliese Borth, senza documenti e minorenne, fu prima detenuta a Rebibbia per qualche mese prima di essere rimpatriata in Germania, dove ad attenderla c'era il riformatorio.
Ha ricordato recentemente al centro Cartella di Gallico quella fase così drammatica della vita del fratello Gianni e della sua fidanzata AnneLiese, Antonella Aricò: «Ricordo che mio fratello era molto pensieroso negli ultimi tempi. Specie dopo l’esperienza dell’interrogatorio per i fatti di piazza Fontana. Era a Roma ed era stato fermato dalla polizia in quanto anarchico. Dopo quell’esplosione infernale mio fratello Gianni AnneLiese e Angelo erano stati arrestati. Per Gianni e Angelo il carcere durò solo dieci giorni. Anneliese invece aveva la colpa di essere minorenne e straniera. Fu trattenuta per tre mesi senza capire il perché. In una sua lettera non si spiegava le ragioni di quella condizione».
Angelo Casile, 20 anni, Franco Scordo, 18 anni, Gianni Aricò, 22 anni, la moglie tedesca neppure diciottenne Anneliese Borth, e il cosentino Luigi Lo Celso, 26 anni, morirono in incidente stradale soltanto alcuni mesi dopo. Impegnati ed esposti in una militanza anarchica e in un fervida attività di controinformazione a Reggio Calabria, erano in viaggio verso Roma. Accadde nella notte tra il 26 e il 27 settembre 1970, alle porte di Roma. Dopo oltre mezzo secolo, quella incidente riserva ancora molti lati oscuri.
Il "volo" di Pinelli
In siffatto clima, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, il ferroviere anarchico e partigiano, animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano, Giuseppe Pinelli, fermato con decine di anarchici dopo la strage, morì volando giù dal quarto piano del palazzo della Questura dove era trattenuto per essere interrogato dal commissario Luigi Calabresi, che poi fu accertato non trovarsi nella stanza al momento del "malore" di Pino Pinelli. Un mistero nel mistero che non vide svelato la moglie Licia Rognini scomparsa un mese fa. Gli ambienti di sinistra accusarono di questa morte subito il commissario di polizia Luigi Calabresi, poi assassinato nel maggio del 1972. Delitto per il quale furono condannati militanti e leader del movimento di estrema sinistra Lotta Continua.
La pista dell'eversione nera
Per la strage di piazza Fontana, negli anni alla pista anarchia si aggiunse anche quella della destra eversiva che condusse negli ambienti neofascisti di Ordine Nuovo veneti. Nel 1971, infatti, i primi ad essere arrestati furono arrestati Franco Freda e Giovanni Ventura. Ne seguirono tanti altri tra i quali Guido Giannettini, agente dei servizi segreti e attivista di estrema destra. La successiva nuova istruttoria, aperta a Catanzaro, portò a processo anche i neofascisti Stefano Delle Chiaie e Massimiliano Fachini. È degli anni novanta il nuovo filone d'inchiesta del giudice Guido Salvini, caratterizzata anche dall'ipotesi di un legame tra la strage di Piazza Fontana e il fallito golpe di Julio Valerio Borghese. Determinanti furono le rivelazioni di Carlo Digilio, ex neofascista di Ordine Nuovo, per il quale intervenne la prescrizione, che aveva accusato Delfo Zorzi, poi imputato con altri.
Nel 2005 la Cassazione assolse tutti gli imputati, asserendo tuttavia che la strage di piazza Fontana fu realizzata dalla cellula eversiva di Ordine Nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili, secondo il principio del ne bis in idem, in quanto assolti già con sentenza definitiva nel 1987 per lo stesso reato. Nessun esecutore materiale. Nessuna condanna definitiva per alcun mandante.
«Io so» di Pier Paolo Pasolini
Un mistero italiano intricato come i tanti che flagellarono la Repubblica in quegli anni, negando verità e giustizia ai familiari e macchiando in modo indelebile la nostra storia. Un mistero fu anche il brutale assassinio di Pier Paolo Pasolini, nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia a Roma. Intellettuale libero e arguto che lavorava al Romanzo delle Stragi e che il 14 novembre del 1974, sul Corriere della Sera, aveva firmato l'articolo “Cos’è questo Golpe? Io so”.
«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). (…) Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
La commemorazione a Milano
In occasione dell'odierna commemorazione, nel 55° anniversario della strage, Milano ricorda con una serie di iniziative che culminano nel corteo organizzato dall’associazione Piazza Fontana 12 dicembre 69 con il Comitato permanente antifascista e con il Comune. Il raggruppamento dei partecipanti è previsto alle ore 15:45 in piazza della Scala. Il corteo, cui prenderà parte il sindaco di Milano Giuseppe Sala, partirà alle ore 16 e giungerà in Piazza Fontana alle ore 16:30. Alle 16:37, nel minuto esatto in cui la bomba esplose, avverrà la deposizione delle corone.