Bergoglio ha osato dire che la misericordia viene prima della dottrina e che Dio è più grande delle regole degli uomini. Una rivoluzione. E per questo lo hanno osteggiato, deriso e persino odiato
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C’è un uomo a Roma, vestito di bianco, che sta male, forse sta guarendo o forse sta morendo.
Lo descrivono stanco, piegato dal dolore, consumato dal tempo e dalle ferite che non si vedono, quelle inferte non solo dalla vecchiaia, ma dai coltelli affilati di una Chiesa che non lo ha mai voluto.
"Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (Matteo 8,20).
Un corpo fragile, un uomo appesantito dagli anni, che si muove con fatica, appoggiandosi al bastone come un Cristo invecchiato, che ancora cammina tra la polvere e il fango del mondo, senza aver trovato riposo.
I suoi nemici – i chierici ingioiellati, i Vescovi dei torbidi salotti, i Cardinali dalla doppia morale e dai guanti di seta – aspettano pazienti la sua fine. Alcuni pregano, con ipocrisia, altri già preparano il conclave, come mercanti nel tempio, contando voti e alleanze.
Ma fuori dalle mura vaticane, nel vento nauseante e sporco delle periferie, nei villaggi senza luce dell’Africa, tra i migranti respinti sugli scogli di Lampedusa, tra i relitti di Gaza, nei campi di riso dell’America Latina, ci sono uomini e donne che bisbigliano il suo nome con un rispetto quasi sacrilego. Sanno che con lui se ne andrà, l'ultima speranza, l’ultimo Papa che non apparteneva ai palazzi, ma alle strade.
Nel marzo del 2013, quando dalla loggia di San Pietro si affacciò per la prima volta e pronunciò un semplice "Buonasera", il mondo intuì qualcosa di radicalmente diverso, di rivoluzionario.
Non parlava come un sovrano, ma come un uomo. Non imponeva la sua autorità, chiedeva una benedizione, un gesto semplice, piccolo, ma immenso.
Ha scelto di chiamarsi Francesco, un nome che non era una dichiarazione di intenti, ma un destino. Il destino di chi sceglie la povertà, non come una virtù ma come un’eresia in un mondo che ha fatto del denaro il suo unico Dio.
Ha scosso la Chiesa come un terremoto, con parole semplici, quasi brutali. Ha detto: "Questa economia uccide", e quelle parole sono risuonate come un pugno nello stomaco del capitalismo, che da secoli ha trovato nella Chiesa un'alleata fedele.
Ha parlato degli ultimi come se fossero i primi. Ha accolto i migranti come Cristo in persona, ha lavato i piedi ai detenuti, ha abbracciato i malati di AIDS, ha baciato i diseredati con la stessa naturalezza con cui gli altri prelati e i banchieri di Dio baciano i calici d’oro.
"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; e non vi entrate, né lasciate entrare quelli che vogliono entrarci." (Matteo 23,13)
Ma la sua vera eresia è stata un’altra, ha osato dire che la misericordia viene prima della dottrina, e che Dio è più grande delle regole degli uomini. E per questo lo hanno osteggiato, deriso e persino odiato.
Papa Francesco ha vissuto il suo pontificato come un lungo Venerdì Santo, e proprio come Cristo, è stato abbandonato dai suoi. I Cardinali lo hanno isolato, le gerarchie vaticane lo hanno umiliato, i teologi della conservazione lo hanno definito un impostore, un distruttore della Chiesa.
Negli Stati Uniti e in Europa, i ricchi banchieri cattolici, i moralisti senza misericordia, i predicatori senza pietà lo hanno accusato di essere un "Antipapa".
Lo hanno chiamato comunista, modernista, relativista. Non hanno mai capito che lui non ha mai voluto cambiare la dottrina, ma solo ricordare che il Vangelo non è una formula, ma un atto di amore, e che quel gesto rivoluzionario è il solo che conti.
Ma cosa ci aspettavamo? Cosa pensavamo che sarebbe accaduto? Che il Papa dei poveri sarebbe stato accolto con feste e canti? Il cristianesimo vero è una condanna, è un sacrificio. È una mano che benedice e una folla che urla "Crocifiggilo!".
Adesso, mentre il suo corpo si consuma e la sua voce si spegne, restano le domande. Ha cambiato davvero qualcosa? O la sua battaglia è stata solo una fiammata in un mondo che tornerà presto alla sua inumana, squallida e insulsa indifferenza?
Forse lo dimenticheranno presto, forse la sua Chiesa si affretterà a cancellare le sue tracce, a restaurare gli altari del potere, a rispolverare i vecchi dogmi e le vecchie regole. Ma nei luoghi più poveri del mondo, nei quartieri di fango, tra le braccia delle madri che stringono bambini affamati, il suo nome resterà come un’eco.
Sarà ricordato non dai potenti, ma dagli ultimi. Non dai pedofili, ma dai bambini. Non dagli omofobi, ma dagli omosessuali. Non nei concili, ma nei campi di grano. Non nei palazzi, ma nelle baracche. Non dagli eretici, ma dagli ipocriti che cancellano le loro colpe e i loro peccati con l'ostia domenicale. Non dalla paura, ma dal coraggio.
Forse, nel silenzio della notte, quando anche l’ultimo lume si sarà spento nelle stanze dorate del Vaticano, resterà soltanto il vento a portare via una voce lontana, che dice ancora: "Non dimenticatevi dei poveri, non dimenticatevi degli ultimi".