Il docente di Pedagogia dell’Antimafia all’Unical dagli studi di LaC Tv lancia un messaggio importante: «La partita possiamo vincerla sostituendo al linguaggio della rassegnazione quello della speranza»
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Il bianco e il nero. Da una parte l’inaugurazione della stazione dei carabinieri a Limbadi, terra dei Mancuso. Dall’altra parte l’incendio alla concessionaria di auto di proprietà di Emanuele Ionà, la Calabria Motori di Villa San Giovanni. La Calabria in questi giorni ha mostrato due volti: quello di una terra in cui lo Stato non intende arretrare e quello, contrapposto, di una terra in cui la criminalità organizzata tenta di rialzare la testa.
Bianco, nero, in mezzo il grigio. Quello della società civile «che ha manifestato evidenti fragilità». La debolezza nella lotta alla ‘ndrangheta sta in gran parte qui. Gianfranco Costabile all’Unical è docente di Pedagogia dell’antimafia e il suo è un impegno sul campo, nella diffusione di un modello educativo che punta a sconfiggere la cultura dell’omertà ancora imperante e a rilanciare l’impegno collettivo. Una presa di posizione forte necessaria a fronte di una comunità che «continua a rispondere col silenzio», denuncia in diretta a Dentro la notizia (rivedi qui la puntata).
Ospite di Pier Paolo Cambareri, il professore ha commentato i due recenti episodi: «Lo Stato sta provando da tempo in Calabria a riprendersi pezzi di territorio. Decidere di utilizzare le abitazioni dei Mancuso a Limbadi come caserma dei carabinieri rappresenta uno schiaffo forte alla criminalità organizzata. Dall’altra parte, l’incendio è il segno di una presenza ancora capillare che si ripresenta secondo rituali purtroppo noti, quelli della violenza». Nessuna reazione eclatante, però, ha accompagnato queste vicende: «Non c’è stato né giubilo per una cosa – un fatto che è storico – né condanna per l’altra», rileva con amarezza.
Lo Stato in Calabria c’è. E sta dimostrando di essere in prima linea nell’azione contro le strutture del potere criminale. Ma non basta. L’azione repressiva da sola non riesce a sradicare una cultura del territorio ancora succube della protervia mafiosa. Certo, la nostra regione negli anni è cambiata, ma non poi così tanto.
«Che la Calabria di oggi sia più vivibile di quella di ieri è evidente – afferma Costabile –. Ma questo è determinato dalla trasformazione del potere mafioso che non ha più necessità di ammazzare, di utilizzare metodi come quelli che ha utilizzato con Ionà quasi quotidianamente come nel passato». Al fondo, però, resta «il vero grande dramma di questa terra» che il professore rintraccia nella «cultura della rassegnazione saldata a una cultura dell’omertà che non siamo stati capaci di mettere in discussione».
L’assenza di un sussulto di fronte ai fatti di Limbadi e Villa San Giovanni dimostra, secondo il docente, che la Calabria di oggi non è sostanzialmente differente dalla Calabria di ieri.
«La mafia si nutre di silenzi», ha detto pochi giorni fa il procuratore di Catanzaro Salvatore Curcio incontrando gli studenti dell’Unical, ospite del ciclo seminariale organizzato proprio da Costabile. «Tutti puntano sull’aspetto pedagogico – sottolinea –. Sul linguaggio. Con una franchezza espressiva dirompente dicono con chiarezza “basta” al linguaggio dell’omertà e all’assuefazione che significa normalizzazione del male».
E parlando di linguaggio ed educazione il riferimento d’obbligo è a don Lorenzo Milani. «La parola è la chiave fatata che apre ogni porta», scriveva rimarcando l’importanza dell’istruzione. «La sua lezione deve essere attuale – dice Costabile –. Quel modello è datato ma era stato pensato non solo come strumento di coscientizzazione per i ceti subalterni, ma per trasformare i territori oppressi. Milani aveva contezza che il Mezzogiorno d’Italia doveva spostare in avanti le lancette dell’orologio della storia perché lì il tempo si era fermato».
Un modello datato, inevitabilmente, ma nonostante tutto attuale perché ancora oggi può far capire a ragazze e ragazzi che il destino non è segnato: «L’emigrazione non è l’unica via di ribellione – evidenzia il docente –, la partita possiamo vincerla a queste latitudini sostituendo al linguaggio della rassegnazione il linguaggio della speranza».
Il cambiamento, dunque, è possibile. Come? «Schierandosi, partecipando». Senza più alibi perché non ce ne sono: «In Calabria abbiamo una magistratura e delle forze dell’ordine che danno seguito alle denunce».
E i social? «Sono strumento del capitalismo elettronico, inesorabilmente destinati a esercitare una funzione di sorveglianza e controllo su linguaggio e teste dei più giovani ma non solo», spiega Costabile. Possono, però, essere uno strumento utile «se li abitiamo criticamente» e perché sia così «devono essere riconosciuti nella loro pericolosità», nel loro essere veicolo di fake news, informazione spazzatura, di «una rappresentazione grottesca del male e di una visione cistercense della vita». Anche le serie tv che narrano le gesta criminali, secondo il docente, hanno una loro pericolosità a cui va opposta una contronarrazione.
«Dobbiamo riprenderci la vita, riprenderci il linguaggio, giocare la partita anche sui social», è l’appello del professore. Perché una Calabria senza la ‘ndrangheta sarebbe «una terra di opportunità straordinarie, in cui per lavorare non ci sarebbe bisogno di inginocchiarsi, in cui i diritti diventerebbero prassi».
«Una Calabria senza ‘ndrangheta – conclude Costabile – è possibile se decidiamo di fare fino in fondo il nostro dovere di donne e uomini. La battaglia è aperta. La possiamo vincere perché lo Stato c’è. Ma non ci sono i cittadini».