VIDEO | Lo studente 16enne è intervenuto nel corso dell'evento promosso dall'associazione "La giostra" in sinergia con il network LaC nella Cattedrale bruzia. Le sue parole premiate con un lungo e sentito applauso
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«La chiamano "necessaria", la chiamano "inevitabile". La guerra. Ma voi, guardandovi allo specchio, potreste mai chiamare "pace" ciò che nasce dal sangue?». La domanda di Raffaele Piccolo svuota l'aria dell'inessenziale, dando modo al silenzio di mettere a tacere le banalità su cui troppe volte si inceppa la mente. Le parole del sedicenne liceale di Cosenza si mettono in fila, disfano retorica e buonismo per consegnare, a chi è disposto a riceverle, il peso di un'adolescenziale e diretta sincerità. La Cattedrale della città bruzia, in occasione del "Concerto per la pace" promosso dall'associazione "La giostra" in sinergia con il network LaC, con la direzione artistica di Franco Laratta, trattiene il fiato ma non le lacrime e la commozione durante il discorso di Raffaele, invitato a condividere con i presenti una personale riflessione sul tema della pace. Un pugno di parole che non lascia scampo all'indifferenza ma che, al contrario, spinge ognuno a sentirsi parte attiva ed incancellabile di un'umanità in ritardo all'appuntamento con una disarmata e definitiva armonia.
«La storia è un giudice spietato, e se c'è una lezione che ci urla contro è questa: la guerra non crea pace - sostiene a gran voce il giovane studente -. La guerra crea solo altra guerra. Ogni bomba sganciata porta con sé un grido che non verrà mai ascoltato. Ogni proiettile sparato porta con sé un volto che non sarà mai ricordato». Raffaele ha pochi anni a disposizione. La sua vita scorre come quella di tanti altri ragazzi e prova a modellarla ogni giorno con la materia prima dei sogni e delle passioni. Ma c'è un altro aspetto che salta subito all'occhio: l'intraprendente liceale non si accontenta delle superfici, di ciò che è banalmente a vista. Con i suoi occhi, orientati dalla curiosità, tenta di sbirciare al di là dell'immediato presente. E così - come è immaginabile che sia - colleziona una serie di perché a cui abbinare una risposta.
«Continuiamo a costruire arsenali con mani che potrebbero costruire ponti. Continuiamo a investire in missili invece che in scuole. "Perché dobbiamo difenderci", dicono. Difenderci da chi? Dal nostro stesso riflesso? Dalla nostra stessa capacità di odiare?». Nella suggestiva Cattedrale di Cosenza, Raffaele continua a parlare davanti a centinaia di persone. Ad ascoltarlo ci sono anche l'arcivescovo Checchinato, il sindaco Caruso e numerose autorità civili e religiose. Ma ciò che più conta è la loro attenzione, il dono prezioso dell'ascolto che Raffaele sa di non dover tradire. Il pubblico si mostra vigile, pronto a misurare il grado di forza dei pensieri di un giovanissimo calabrese e la loro profondità di contenuto. L'età, d'improvviso, non conta più. Diventa un dettaglio perché, prima ancora che l'esperienza, adesso è il cuore a parlare.
«La guerra non ha eroi, solo vittime. La guerra non ha vincitori, solo sopravvissuti. E se pensate che la guerra sia lontana, vi sbagliate. Ogni volta che odiamo, ogni volta che discriminiamo, ogni volta che rimaniamo in silenzio davanti all'ingiustizia, quella guerra si avvicina». Raffaele è un fiume in piena. La sua penna non incide attraverso l'inchiostro soltanto la pagina che sta leggendo e che tiene in mano. Come segni di chitarra, le sue frasi rigano l'animo dei presenti che non riescono a fare a meno di levarsi in piedi ed omaggiare quel figlio di Calabria con un lungo e sentito applauso. Le emozioni che provoca Raffaele tastano la capacità di reagire della gente, chiariscono da che parte staziona la migliore umanità. Nel battito delle mani si può persino intercettare il segno riconoscibile della gratitudine del pubblico nei riguardi del sedicenne.
«L
a vera guerra è dentro di noi - ricorda ancora lo studente cosentino -. E se non impariamo a combattere il nostro odio, il nostro egoismo, la nostra indifferenza, allora non ci sarà mai pace. Non illudetevi: la guerra non è un mezzo per raggiungere la pace. La guerra è la fine di ogni speranza. E se non cambiamo, sarà anche la fine di noi stessi». Di certo il "Concerto per la Pace" ha centrato il proprio obiettivo. Ha unito la musica, grazie alla talentuosa Orchestra Giovani Calabresi diretta dal maestro Mattia Salemme, alla riflessione e all'idea che non tutto sia perduto. Perché il mondo può cambiare verso. Può ripartire da ciò che resta, anche dalla macerie e dai conflitti che si porta appresso. La pace non ha bisogno di grandi cose per attecchire. Ha urgenza soltanto di noi. Di tutti noi.