Tante le reazioni di sdegno per l'iniziativa del sindaco di Petilia che ha deciso di esprimere vicinanza per la morte di Rosario Curcio. La donna pagò con la vita le denunce contro il marito e il fratello. Fu uccisa e il corpo poi bruciato
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Infuria la polemica dopo la decisione del Comune di Petilia Policastro, attraverso un manifesto affisso ai muri e pubblicato anche sul sito internet, di esprimere la sua vicinanza al dolore dei familiari “per la perdita del loro caro congiunto” Rosario Curcio, uno dei killer della testimone di giustizia Lea Garofalo.
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Le condoglianze sono state espresse dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Simone Saporito in occasione dei funerali di Curcio che sono stati celebrati fa a Camellino, frazione del comune nella quale risiedeva l'uomo. Tante le reazioni di sdegno e disapprovazione: dal Pd che ha chiesto le dimissioni del primo cittadino al sottosegretario di Fratelli d'Italia Wanda Ferro che ha definito «Inaccettabile e un inchino alla ’ndrangheta» l'iniziativa del Comune.
Mamma coraggio che sfidò la 'ndrangheta
Della storia di Lea Garofalo ci eravamo occupati anche nella prima stagione di Mammasantissima - Processo alla 'ndrangheta. Le sue denunce contro il marito e il fratello le costarono la vita a distanza di anni. La donna, originaria proprio di Petilia, fu uccisa e poi bruciata: una ricostruzione, quella del suo omicidio, da brividi.
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Il 24 novembre 2009 Lea viene attirata in un trappola, a Milano, da Carlo Cosco, con la scusa di parlare del futuro della figlia. La donna viene uccisa in un appartamento da Vito Cosco, fratello di Carlo. Il corpo viene portato via da Massimo Sabatino, Rosario Curcio e Carmine Venturino, già fidanzato di Denise. In un quartiere di Monza che il corpo di Lea viene dato alle fiamme e quasi completamente distrutto.
Nell’ottobre del 2010 Dda di Milano e carabinieri arrestano tutta la banda. Saranno confermati quattro degli ergastoli emessi in primo grado: per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Venturino sarà condannato a 25 anni. Il 18 dicembre 2014 la Cassazione conferma la sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.