Il ritorno della società che gestirà il progetto a dieci anni dalla liquidazione e la paura dei cittadini per gli espropri. Report dedica una puntata all’opera diventata un cavallo di battaglia del ministro Salvini
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Il balletto dei costi e quello delle nomine, gli espropri coatti, i dubbi strutturali e quelli ambientali. E poi la giostra sul numero degli operai da impiegare nei cantieri e i controllati pericolosamente vicini a controllori. L’ammiraglia Rai dell’informazione Report è tornata sul ponte, e ci è tornata a gamba tesa con una lunga inchiesta che riassume le tante zone d’ombra rispetto al progetto del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia.
Un’inchiesta che si intreccia con l’indagine della Procura di Roma sul presunto malaffare gestito dalla “Inver” di Verdini – cognato del ministro alle infrastrutture Matteo Salvini e figlio dell’ex pezzo da 90 Pdl, Denis – all’interno degli uffici Anas e che prova a riallacciare i fili di una serie di nomine (e di amicizie) che finirebbero per interessare anche il progetto per il ponte, che del ministro Salvini ormai è diventato il cavallo di battaglia.
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Messa in liquidazione dal Governo Monti nel 2013, ricorda Report, la Stretto di Messina – la società che dagli inizi degli anni ’70 si occupa, a pagamento, della fase progettuale di un ponte mai realizzato – è stata riportata in vita dal Governo Meloni che l’ha affidata nelle mani di Pietro Ciucci, per oltre un decennio presidente di Anas Spa.
Tra i primi atti del nuovo presidente, ricorda Ranucci, la cancellazione del tetto massimo per il compenso dei 16 nuovi dirigenti pubblici che formano il board dell’azienda. A tenere banco nella prima serata Rai poi il contenzioso giudiziario che la Eurolink, il consorzio di imprese che fa capo alla Webuild, che il ponte lo dovrà costruire, ha intentato allo Stato all’indomani della cancellazione del progetto da parte di Monti. Un contenzioso da 800 milioni di euro (respinto in primo grado dal Tribunale di Roma) che non è ancora stato ritirato.
E poi la girandola dei costi, passati dai 3,9 miliardi di euro previsti nell’ipotesi iniziale del 2005, ai 6,3 del 2009. Costi che balzano fino a 8,5 miliardi al momento della presentazione del progetto definitivo nel 2011 e che continuano a salire fino agli 11,6 previsti l’anno scorso dal Governo Meloni. Un aumento vertiginoso avvenuto in assenza di una nuova gara d’appalto (la precedente, sostiene Report, era stata vinta con un insolito ribasso del 16,9% sulla base d’asta) per una procedura che potrebbe violare le norme europee sugli appalti pubblici.
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E ancora il numero degli operai coinvolti nei cantieri, passati, nelle comunicazioni pubbliche del ministro Salvini, da «oltre 120 mila» a poco più di «40 mila» ma che per la stessa Stretto di Messina dovrebbero aggirarsi attorno «4300» per ogni anno di costruzione.
E anche se nessun rappresentante dei tanti movimenti “No Ponte” presenti su entrambe le sponde dello Stretto ha trovato spazio, la trasmissione Rai ha puntato l’attenzione sugli abitanti dei quartieri, a Messina come a Villa, che rischiano nuovamente di vedersi espropriare la casa per i lavori. Una sostanziale indifferenza di Governo e progettisti verso il territorio che di fatto ha tagliato fuori dai giochi le due città che maggiormente subiranno i disastri provocati dai cantieri.