Il network LaC ha avviato una campagna di informazione e comunicazione sull’Autonomia differenziata. Oggi ospitiamo il contributo di Damiano Silipo, docente di Economia politica all’Università della Calabria.

 

La legge sull'autonomia differenziata è stata definitivamente approvata, ma quasi certamente passerà al vaglio del referendum

Capire quali sono le conseguenze, con analisi scevre da pregiudizi politici, diventa quindi fondamentale per indurre i cittadini del Nord come quelli del Sud a votare e a fare scelte consapevoli.

La legge prevede il trasferimento della gestione dallo Stato alle regioni di 23 materie, su richiesta di queste ultime. Si tratta di materie fondamentali per lo sviluppo e la garanzia dei diritti essenziali di cittadinanza, come scuola, sanità,  energia, infrastrutture, trasporti, ecc. Una volta concordato il trasferimento delle competenze richieste, lo Stato deve trasferire alla regione le risorse finanziarie e il personale dipendente dal ministero competente. Da quel momento, la regione può legiferare nelle materie devolute in piena autonomia, stabilendo anche salari e stipendi dei suoi dipendenti.

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È facile prevedere che le regioni ricche useranno l'autonomia per incrementare l’offerta di servizi ed attrarre personale laddove c'è più carenza, come nella sanità, offrendo stipendi doppi o tripli rispetto a quelli delle regioni povere, come già oggi avviene con le regioni a Statuto speciale, a cui questa legge si ispira. 

I fautori della legge sostengono che, comunque, verranno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) su tutto il territorio nazionale. Per capire se l’autonomia differenziata è compatibile con la realizzazione dei Lep, basta osservare che già oggi lo Stato, con una capacità fiscale ben superiore a quella che avrebbe dopo la realizzazione dell’autonomia, non è in grado di garantire i Lep nel solo settore della sanità (cioè i Lea), a causa dei vincoli di bilancio imposti dall’enorme debito pubblico dell’Italia. Comunque, la Banca d’Italia ha stimato che per realizzare i Lep su tutto il territorio nazionale occorrono 100 miliardi aggiuntivi all’anno. Se a questi si aggiungono altri 100 e più miliardi di debito derivanti dalla realizzazione del Pnrr, si può comprendere come l’autonomia differenziata creerà una miscela esplosiva fatta di maggiore spesa pubblica, a cui lo Stato italiano non sarà in grado di farvi fronte, perché intanto con l’autonomia differenziata ha trasferito gran parte della capacità fiscale alle regioni ricche. Altro che spingere le regioni del Sud a svegliarsi e non vivere di assistenzialismo!

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Il vero pericolo dell’autonomia differenziata è quello di trasformare l’Italia in un paese come l’Argentina, e questo non può non preoccupare i cittadini del Nord come quelli del Sud. Consapevole di questo pericolo, la stessa maggioranza all’ultimo minuto ha introdotto un emendamento (articolo 8 della legge) che stabilisce che ogni anno verrà ridefinita la percentuale di tasse che rimane nella regione che ha ottenuto l’autonomia. Come dire: quello che ti abbiamo dato oggi te lo possiamo togliere domani, se lo Stato non sarà in grado di ripagare il debito pubblico. Con la differenza che comunque lo Stato non sarà più in grado di far fronte a crisi finanziarie repentine, come quella che nel 2011 ha costretto Berlusconi alle dimissioni. Un altro esempio di porcata alla Calderoli!

Senza contare che ci sono delle ragioni economiche di efficienza ed equità che giustificano una gestione centralizzata di alcune materie. In teoria, con l’autonomia differenziata ogni regione potrebbe avere un sistema energetico, di trasporti o scolastico differente. Inoltre, solo una gestione centralizzata della sanità, che tenderebbe ad uniformare gli standard dei servizi sanitari pubblici offerti su tutto il territorio nazionale, consentirebbe di garantire il diritto alla salute di tutti i cittadini. Infine, con l’autonoma differenziata ogni regione deve dotarsi di una propria politica ambientale per far fronte ad un problema globale come quello del cambiamento climatico. In altri termini, le problematiche in settori come energia, ricerca e ambiente richiederebbero di essere affrontate a livello sovranazionale, mentre in Italia vengono devolute alle regioni. Comunque, è immaginabile prevedere quali saranno le conseguenze per le imprese che vorranno operare in regioni diverse da quelle di origine, dovendo fare i conti con 20 diverse legislazioni e burocrazie regionali.

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In definitiva, l’autonomia differenziata, nata per soddisfare l’egoismo delle regioni ricche, rischia di portare l’Italia al default, perché toglie allo Stato italiano il potere di far fronte a shock esogeni, sempre più frequenti sui mercati finanziari, e riduce le opportunità di crescita del paese, perché la desertificazione del Mezzogiorno a cui porterà l’autonomia differenziata non sarà solo a vantaggio delle regioni ricche, poiché gran parte delle giovani generazioni si trasferiranno all’estero, dove avranno occasioni di vita e di lavoro anche migliori di quelli offerti dal Nord del paese.

 

*Università della Calabria