Ancora in tantissimi ci chiedono come sta Ayoub e cosa possono fare per lui, scossi per quell’aiuola di Crotone che è stata giaciglio per un ragazzo scalzo, assetato ed affamato, nato dalla parte sbagliata del mondo; così come lo ha tirato fuori dall’indifferenza il nostro Franco Laratta che lo scoprì in un alba crotonese di sabato 8 luglio scorso.

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Poi è arrivata, sembrava di poter dire finalmente, una giornata di calore, e l’abbiamo raccontata con gioia, qualche giorno dopo. Il consigliere comunale Enrico Pedace è riuscito ad far attivare i Servizi Sociali e la Croce Rossa facendo anche da ponte a tantissime buone volontà intervenute. Ayoub, è al riparo, per il momento dorme in un B&B e domattina terminerà tutta una serie di accertamenti medici che prevedono un consulto pscologico. Questo ragazzo è arrivato con un barcone meno di tre mesi fa a Lampedusa e, non sappiamo ancora come, a Crotone meno di 20 giorni fa, non riuscendo a trovare il ricongiungimento familiare che cercava.

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Il canale migratorio che dal Maghreb preme sulle coste meridionali d’Europa è tra quelli più noti, da prima della pandemia. Ai media internazionali è subito piaciuto chiamarli “sbarchi fantasma” perché hanno dato la stura ad ondate migratorie, invece, particolarmente avvistabili ed alla luce del sole. Piccoli motoscafi, gommoni e imbarcazioni leggermente meno fatiscenti di quelli che eravamo abituati a vedere prima del 2018 circa e che, come il caicco che si è schiantato sulla spiaggia di Steccato di Cutro, porta troppo spesso morte ed indifferenza. Questi “diversi” viaggi, mai scevri da regie di scafisti, hanno “consentito” di derubricare queste genti e famiglie, a migranti economici; anche perché hanno sempre puntato direttamente verso le coste Sud della Sicilia e della Calabria, attraccando in spiagge e porticcioli turistici anche in pieno giorno.

L’ondata arrivata dalla Tunisia, mai mitigata, è stata, secondo qualche report dell’intelligence italiana, individuata anche come un rischio d’infiltrazione jihadista ed accelerò un accordo per i rimpatri che oggi è tra i rarissimi canali, se non l’unico, che funziona. Complice è la gestione sempre più apparentemente repressiva del controllo dei confini da parte delle autorità tunisine che è direttamente proporzionale ad accordi economici, commerciali ed energetici con il nostro paese. Così come è altrettanto noto che coincida con l’aumento degli affari degli scafisti. E sono appunto in aumento i rimpatri e le segnalazioni di trattamenti inumani e degradanti nei confronti di chi arriva da un paese che, sulla scia degli eventi che hanno caratterizzato tutto il 2022, non ha mai visto smettere una serie di manifestazioni di protesta contro l’attuale presidente della Repubblica Kaïs Saïed.

Migliaia di persone che scendono quasi puntualmente in strada, e non solo nella capitale Tunisi, chiedendo processi di reale democrazia che invece oggi portano solo pochissimi cittadini al voto (nel corso del secondo turno delle elezioni legislative per l’Assemblea dei rappresentati del popolo che si è svolto il 29 gennaio scorso, il tasso di affluenza si è attestato all’11,4%: superando i minimi storici con meno di un milione di elettori che hanno espresso il proprio voto su un totale di circa 8 milioni di aventi diritto).

Ed è in questo contesto che, necessariamente, va letta la vicenda di Ayoub: avvalendosi anche di uno studio congiunto di Avocats sans Frontières (ASF), Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali (FTDES) che contribuisce a fare luce, attraverso l’analisi del vissuto di 53 cittadini tunisini rimpatriati dall’Italia; questa ricerca ha offerto ed offre interessanti dati di contestazione oggettiva delle politiche europee di gestione delle frontiere in discussione a Bruxelles.

Considerazioni, studi ed analisi fondamentali ma che non possono distrarre operatori come Ramzi Labidi, responsabile dell’Ufficio Immigrazione dell’associazione Sabir, e Manuelita Scigliano che, da presidente della stessa associazione, è diventata anche portavoce della Rete 26 febbraio che dalla strage di Steccato di Cutro sta cercando di rendere più fruibili queste informazioni. Senza ovviamente mai smettere di seguire progetti di integrazione ed interazione dei disagi sociali; quelli di italiani quanto di quelli provenienti da tutte queste terre sbagliate, anche quando non sono interessate da “guerre ufficiali” che, almeno, fanno accedere allo status di rifugiato.

Abbiamo anche raccontato, ancora prima di questa storia di Ayoub, come proprio l’associazione Sabir abbia sentito la necessità di riproporre un’iniziativa editoriale nata da un progetto d'integrazione tra i profughi e ragazzi italiani  e quanto questo “mescolare” destini e prospettive faccia bene al nostro paese ed in particolar modo alle aree depresse.

«Ci sono tragedie economiche e sociali anche peggiori delle guerre ufficiali - rammenta Labidi - i tunisini non hanno diritto allo status di rifugiati e dunque non possono essere aiutati ufficialmente, e per questa ragione preferiscono rimanere invisibili».

Invisibili per strada o sotto i ponti, in giacigli ancora più improbabili e sbagliati di quello trovato da Ayoub sul lungomare di Crotone. Come alla stazione ferroviaria o sotto il cavalcavia di Crotone al fianco di industrie che non ci sono più, a ridosso della SS 106 che noi chiamiamo strada della morte e che per tanti di loro è invece speranza, anche se circondata da immondizia e sporcizia.

Ed è soprattutto per questo che la presidente Scigliano cerca di andare ancora più alla radice del problema: «non ci sono casi unici e nemmeno casi eccezionali, la migrazione è un fatto che riguarda tutti i popoli da secoli», rammentando intrinsecamente e senza retorica che ha riguardato e riguarda anche noi italiani: «Bisogna agire sempre e, soprattutto, strutturalmente, non solo sull’emozione del momento. È storicamente dimostrato - tuona nel ragionamento - che quando non riusciamo a trarre i vantaggi oggettivi che comporta l’arricchimento culturale ed anche economico dell’arrivo di nuove energie e bellezze, possiamo solo tentare di attutire (e malamente) le problematiche annesse che ne conseguono».