VIDEO | Al mancato approdo nella terra promessa corrispose la nuova destinazione: il campo di Ferramonti di Tarsia. Il magistrato e scrittore rievoca una vicenda poco conosciuta
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Antonio Salvati, magistrato campano in Calabria da oltre 20 anni, appassionato di lettura e ideatore del festival Diritto e Letteratura Città di Palmi che quest’anno giunge alla XII edizione, è autore di Pentcho, un romanzo (quello di esordio) che racconta la storia degli ebrei in fuga dall’allora Cecoslovacchia verso la Palestina a bordo dello sgangherato e precario battello. Ospite del format del Reggino.it A tu per tu, il giudice scrittore rievoca questo pezzo di storia che a un certo punto, del tutto inaspettatamente, diventa anche calabrese.
La fuga, il naufragio e... una salvezza inaspettata
«Una storia che, come tante, era rimasta ai margini e che invece avrebbe dovuto essere conosciuta. Pentcho era un battello destinato al trasporto di animali lungo il Danubio, dunque in acque fluviali, che invece si ritrovò a trasportare persone in mare aperto. Le persone erano 400 ebrei in fuga da Bratislava minacciata dall’invasione nazista, talmente disperati da pensare di arrivare in Palestina, all’epoca protettorato britannico. Quasi giunti a destinazione avvenne il naufragio che dirottò le persone verso la Calabria. Soccorsi, infatti, dalla nave italiana guidata dal capitano Carlo Orlandi, in quanto ebrei negli anni delle leggi razziali, furono portati a Ferramonti di Tarsia dove sorgeva un campo di internamento in cui i trattamenti furono più umani grazie alle singole persone che vi operarono. Restava pur sempre un campo di internamento.
Qui uomini, donne e bambini erano reclusi per ragioni legate alla fede, alle opinioni politiche, all’orientamento sessuale. E qui, in quanto ebrei stranieri, coloro che avevano viaggiato a bordo del Pentcho furono separati dagli altri, dunque furono rinchiusi tra i rinchiusi. Nonostante fossero ebrei, tuttavia, in quel frangente storico, proprio perché portati a Ferramonti, riuscirono a salvarsi».