Partito dalle Marche, arrivò fino al Moma di New York dove fu consacrato tra i 100 migliori autori al mondo. Ora un'esposizione rende omaggio al suo legame con la nostra terra: si chiama "Il canto dei nuovi emigrati" e verrà inaugurata il 10 settembre
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Mario Giacomelli, una fama a livello mondiale, ma forse ancora poco apprezzato da noi. Ora finalmente una mostra, anche per conoscere il rapporto tra Giacomelli e la Calabria. Giacomelli è stato insieme un tipografo, un poeta, un pittore e poi un fotografo. Un autentico visionario che si è fatto strada nell'universo dell'arte e della fotografia, arrivando fino al MoMa di New York con la serie Scanno, nel 1963, anno in cui John Szarkowski, il direttore del Dipartimento di fotografia dello stesso museo, lo consacrò tra i cento migliori autori al mondo.
Chi conosce bene Mario Giacomelli è Elisabetta Longo, classe 1990, scrittrice e storica dell'arte. Si laurea presso l'Università della Calabria e concentra i suoi studi sull'Arte irregolare e outsider. Da quest’anno è direttrice del Mabos – Museo d'arte del bosco della Sila.
Dalle Marche alla Calabria
Con lei parliamo di Mario Giacomelli. «Nato a Senigallia nel 1925, comincia a praticare la fotografia da “non esperto”, come lui stesso si definiva, nella prima metà degli anni Cinquanta, muovendosi nell'orbita del gruppo Misa e del suo fondatore Giuseppe Cavalli, da cui ben presto si svincola per proseguire verso una strada assolutamente personale e dunque unica. Siamo nell'Italia del secondo dopoguerra e la stampa, appena liberata dalle morse della dittatura, diventa lo strumento più diretto di una narrazione delle “macerie” e della ricostruzione e i fotografi i più ricercati esecutori materiali delle immagini di questa operazione. All'interno di questa cultura realista che si sviluppa come risposta alla retorica della propaganda fascista appena debellata, Giacomelli si muove in una direzione parallela che slega la fotografia dal suo carattere documentario, raccontando un mondo surreale, affrancato dalle dinamiche della visione codificata e quindi straordinariamente veritiero. Per restituire tale dimensione, Giacomelli lavora sui contrasti netti, sullo sfocato, stampa su carta vigorosa, punta ad una fotografia “piena di errori”».
Giacomelli è un fotografo fortemente territoriale che lavora prevalentemente in ambito marchigiano anche se, come molti altri fotografi, ad un certo punto della sua attività si sposta verso sud: va a Scanno, in Puglia e poi in Calabria.
«Quelle che noi ospitiamo, le 25 fotografie della serie “Il canto dei nuovi emigranti”, in mostra al Mabos dal 10 settembre con la collaborazione dell'Archivio Mario Giacomelli, sono l'esito di questo viraggio a sud. Un progetto che, più che poco apprezzato, direi poco conosciuto: la naturale conseguenza di un fallimento nella politica di valorizzazione che doveva spettare, in primo luogo, alla committenza pubblica. Una noncuranza ricaduta su questo lavoro straordinario così come, da sempre, sul più sfortunato Franco Costabile, ai versi del quale il viaggio calabrese di Giacomelli si legò irrimediabilmente».
Giacomelli e il progetto “Il canto nei nuovi emigranti” ispirato dal poeta calabrese Franco Costabile
«Un sodalizio straordinariamente potente ed efficace, quello tra le fotografie di Giacomelli e i versi di Costabile. Il fotografo marchigiano arriva per la prima volta in Calabria nel 1984, guidato da un amico e sollecitato dalla Provincia di Catanzaro con la premessa (e la promessa) di rintracciare un arcaismo ancora vivido e per certi versi struggente. Si sposta in pochi giorni da Tiriolo a San Giovanni in Fiore, da Seminara a Badolato, da Caraffa ad Amaroni».
Le immagini di una Calabria desertificata nei suoi paesi interni; la trasformazione di un mondo contadino in qualcos’altro non del tutto definito. Ecco l’esposizione permanente “Camera oscura” dal 10 settembre al Mabos.
È anche un messaggio per la Calabria di oggi, alla disperata ricerca di un’identità. «Non sono sicura che si possa o si debba parlare di ricerca di un'identità. Credo che probabilmente si debba discutere, prima di tutto, in termini di autenticità. L'identificazione avviene ogni giorno e si lega a modelli obsoleti e soprattutto marcati e scollati dalla nostra verità. Bisognerebbe forse, in primo luogo, affrancarsi, accettarsi e sapersi conoscere profondamente per quello che si è, valorizzare le differenze, senza avere l'angoscia di rincorrere certi standard della globalità che sono, invece, dei refusi della storia che operano in una direzione omologante. E queste fotografie sono, per alcuni versi, ancora e soprattutto oggi uno specchio, dunque uno strumento. Ci si può guardare dentro ma bisogna comunque avere il coraggio e la giusta predisposizione per non fermarsi alla superficie, come Giacomelli (a anche Costabile) ci ha invitati a fare».
Negli scatti una terra dai forti contrasti
Mario Giacomelli sembra illuminare l’entroterra calabrese degli anni ’80. Dai suoi scatti emerge “la pura bellezza della potente umiltà e il mistero di una terra dominata da forti contrasti”.
«Direi che i verbi illuminare e emergere siano abbastanza esplicativi della ricerca giacomelliana e di come poi si sia declinata anche nel periodo calabrese. Giacomelli, che ricordo essere stato prima di tutto un tipografo ma anche poeta e pittore, conosce bene la materia cromatica, conosce i neri cupi e i bianchi abbaglianti così come sa di voler raccontare, in una frammentazione poetica, non la storia del mondo ma la storia dell'uomo. È anche per questo che lavora in serie e ogni fotografia rappresenta un frammento di un racconto complessivo. Le immagini emergono dal reale attraverso fortissimi contrasti di luce e ombra, bianchi e neri, che regalano ai soggetti e ai luoghi connotazioni surreali e atemporali, li elevano a presenze universali pur mantenendo costumi e tradizioni. Quello che Giacomelli restituisce alla Calabria, a quella estrema, nuda e cruda delle aree interne spopolate, è un'eredità di sentimenti e di qualità astratti, che sfiora l'immagine ma che abilmente si sottrae a ciò che diremmo scarsa apparenza, a ciò che è “sotto gli occhi di tutti».
Inaugurazione il 10 settembre
La mostra sarà inaugurata il 10 settembre con un evento dal titolo “Camera oscura. Mario Giacomelli e il canto dei nuovi emigranti”.
«La mostra rappresenta per tutti noi, per il fondatore Mario Talarico, il momento terminativo di una lunga stagione dedicata al poeta Franco Costabile, conclusasi con una residenza intitolata “La rosa nel bicchiere”, che è anche il titolo della sua più celebre silloge poetica (1961)».
Sarà una giornata ricca di appuntamenti. La mostra rimarrà permanentemente al Mabos.