Il racconto e qualche aneddoto di chi conosce bene la terra e gli affetti di Jorge Mario Bergoglio, tra l’amore incondizionato della sua gente e il rammarico per le mancate visite nel suo Paese: «Ha scelto di portare il suo messaggio ad altre terre e altri popoli»
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Papa Francesco, in quegli anni arcivescovo, sui mezzi pubblici a Buenos Aires
Pasquale Guaglianone da 20 anni vive in Sudamerica per raccontare gli italiani delle Americhe, con un occhio particolare ai calabresi. È inviato del nostro network ed è stato per 8 anni corrispondente Rai. Lo troviamo a Buenos Aires.
Pasquale, tu che in Argentina sei di casa e conosci ogni cosa, come sta vivendo la patria del Papa questo momento così difficile per lui?
«Indubbiamente, non è un momento facile. Se ne parla, ovviamente, sui quotidiani e in televisione nei canali nazionali. Anche qui il papa Francesco ha “tifosi e denigratori” penso sia una brutta abitudine della gente esprimere molto anche sui social con frasi spesso irrispettose e con tanta ironia. È una figura simbolo del panorama mondiale che viene da una scuola di pensiero e di vita distante da altre realtà. Non sono d’accordo però nell’infierire su un uomo di 88 anni, nel preparargli il funerale prima che accada. È come volerselo togliere di mezzo. Ma la gente che riflette, e conosce la realtà, sa che non è facile in tempi come questi accontentare i desideri di ognuno che, se non accontentato, ti è contro. Roma “Vaticana” non è facile da gestire».
Tu hai buoni rapporti con la sua famiglia di origine, con la sorella, sai cosa pensano loro della malattia e se sentono in questi giorni il Papa?
«Non ho sentito Maria Elèna, l’unica sorella in vita di papa Francesco. È una questione di riservatezza e di rispetto. Ma sento qualche amico legato da decenni a Francesco. Sanno quello che sappiamo noi, poiché anche loro rispettano la privacy del papa in questi momenti, nei quali il turbinio dei pensieri macina nella testa del Papa, che chi lo conosce sa che non esprime molto le sue sensazioni personali. Ricordo che un giorno, in una intervista con Maria Elèna mi diceva che non erano molto abituati a vedersi nel quotidiano, qui a Buenos Aires, di solito era per telefono o qualche volta anche per lettera. Francisco, come lo chiama anche lei, era molto riservato. E chi gli sta vicino oggi a Roma lo sa bene».
Per quello che sai e per quello che hai conosciuto direttamente, quanto è stato importante il Pontificato di papa Francesco in quest’epoca così difficile, a tratti drammatica?
«Jorge Mario prima e Francesco dopo, lo disse molte volte ed io l’ho ascoltato in cattedrale quando lui, specie nei Te Deum, caricava di moralità le sue prediche. Francesco, già in tempi lontani esprimeva la sua preoccupazione per il futuro che gli sembrava pericoloso per il mondo. Lo ricordo in un programma settimanale in una radio di Buenos Aires nel quale con un ebreo e un musulmano parlavano dei valori della vita, il sorriso, la carità, la solidarietà, la fede di ognuno. Dal mio punto di vista è un Papa poco vicino alle varie forme di apparenza. Lui è uomo di fede, di carità, di solidarietà con i fatti. Un giorno lo incontrai, casualmente, sulla linea C della metro di Buenos Aires, era presidente della Conferenza Episcopale Argentina che era a un centinaio di metri da casa mia, così come la fermata della metropolitana a General San Martin. Vedendolo seduto, per rispetto lo salutai. Il suo buen dia, con un sorriso lo ricordo ancora oggi. E pensavo: l’arcivescovo, poi Cardinale di Buenos Aires viaggia con la metro. Ecco, lui ha vissuto così la sua vita sacerdotale, tra la gente, tra in tanti indigenti delle “villas miserias” della metropoli argentina. Il suo Pontificato, credo, lo si capirà meglio in un giorno, mi auguro, ancora lontano quando non ci sarà più».
Il cardinale Ravasi ha detto che se il Papa dovesse accorgersi di non essere in grado più di muoversi e di stare a contatto con la gente, lui potrebbe dimettersi.
«Non so se papa Francesco ha deciso di fare ciò. So di certo che lui soffre, non tanto per sofferenze fisiche, che subisce sin dalla età della fanciullezza, ma soprattutto perché non può andare tra la sua gente, uscendo dalle porte delle chiese per incontrare la gente, i suoi poveri, gli ammalati, gli anziani. Ha vissuto per questo. Ricordo che un giorno lui stava andando in una “villa miseria” dove è davvero complicato entrare qui a Buenos Aires. Qualcuno gli disse: “Stia attento padre Jorge, come lo chiamavano tutti in Argentina, è pericoloso”. Lui rispose: “Perché dovrebbe esserlo se vado da loro per aiutarli”. Francesco è così, è quel sacerdote che al santuario di Nuestra Señora de Aparecida nello stato di San Paolo in Brasile, i vescovi del Sudamerica, riuniti, lo riconobbero come vero, autentico leader della chiesa di questa parte del mondo».
Una domanda un po’ particolare: come mai il Papa non è mai venuto in visita alla sua terra? Vengono in mente i tanti viaggi fatti da Giovanni Paolo II in Polonia, e anche quelli di Ratzinger in Germania. Ma papa Bergoglio non ha più messo piedi in Argentina dopo la sua elezione.
«Si è vero, ed è uno dei motivi, anzi il principale, per cui molti argentini non lo amano più. È peronista, è permaloso, è politicizzato sento dire. Ma è frutto di un modo di dire che poi tanti diffondono senza sapere perché. Secondo quello che percepisco qui in Argentina è che lui ha certezza di pensiero che non è solo stato il cardinale di Buenos Aires. Oggi lui sa che è il Papa del mondo intero e che, conoscendo bene la città dove è nato, e avendo ricevuto tutte, o quasi, le personalità dei governi e della politica argentina, in molti accorsi per la foto di rito da pubblicare sui social come è accaduto, lui ama andare, se ne avrà ancora la forza in visita pastorale e non arrivarci da stella. Ha voluto non privilegiare la terra dove è nato e dove tutti lo conoscono e conoscono il suo pensiero di sacerdote, ma dare un messaggio nuovo ad altre terre ad altri popoli. La visita pastorale a lui interessa da sempre. È stato duro su questo anche con sua madre quando doveva scriversi all’università e lei gli chiese cosa volesse fare. Rispose di voler studiare medicina. La madre lo interruppe dicendo: “Sì, mi piace la tua idea”. Quando però un giorno di qualche mese dopo, andò a sistemare la camera dove lui studiava trovò libri di teologia. Accorse quasi furiosa e disse: “Ma avevi detto di voler studiare medicina!” Lui rispose: “È vero ma tu non mi hai fatto concludere il discorso. Il mio desiderio era studiare la medicina dell’anima”. Ecco, io sto vicino a quella persona che, in un momento difficile da anziano, di 88 anni, prega il suo Dio affinché a Gaza e in Ucraina e in altre parti del mondo povero, faccia cessare i conflitti. E che della sua vita dice: “È nelle mani del Signore!”».