Racconti di vita, di dolore, di privazione della libertà ma anche rinascita, sogni e speranze. C’è tutto questo negli sguardi e nella voce di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese per scappare dalla guerra. La voce, gli sguardi, i racconti sono quelli della famiglia Matloob, ospite negli scorsi giorni della quinta edizione di “Storie Migranti”, manifestazione promossa a Sant’Ilario dello Jonio dalla Eurocoop “Jungi Mundu” e condotta da Maria Teresa D’Agostino, con lo scopo di sensibilizzare sul tema dell’inclusione in un contesto multiculturale.

La famiglia Matloob è originaria del Kashmir, regione nel nord del subcontinente indiano fra India e Pakistan, che da mezzo secolo ne rivendicano la sovranità; un territorio storicamente attraversato da tensioni regionaliste e confessionali. La guerra in Kashmir non conosce fine dal 1947, anno della divisione tra India e Pakistan. Un conflitto che, inizialmente bilaterale, è diventato trilaterale, coinvolgendo un’altra potenza nucleare confinante con il Kashmir: la Cina. 

Negli ultimi mesi in Kashmir si è passati dagli attentati terroristici contro gli organi militari a quelli contro civili come insegnati, medici, negozianti e, a perdere la vita a seguito dei bombardamenti sono anche numerosi bambini.

Khan Matloob, sua moglie e i loro 6 figli hanno vissuto il dramma di nascere in quello che, nel 2000, l'allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton definì come "il luogo più pericoloso del mondo". Le rapine subite, i soprusi, la costante minaccia della guerra, l’assenza di un presente e men che meno di un futuro ha costretto Khan Matloob ad abbandonare il suo paese cercando asilo politico in un luogo che potesse garantire a lui e alla sua famiglia una vita normale. 

Nel 2012 il primo spostamento, verso la Libia. Anche qui la permanenza della famiglia Matloob è caratterizzata da numerose difficoltà, una scarsa retribuzione a fronte del grande impegno lavorativo e la costante minaccia di essere rapinati, minaccia che un giorno si è concretizzata privando la famiglia dei propri beni personali. Pochi anni più tardi il viaggio più difficile, affrontato in mare da Khan Matloob, senza la sua famiglia. «È stato tremendo - ha raccontato - ad un certo punto la nave ha anche iniziato ad imbarcare acqua e in preda al panico abbiamo fatto di tutto per evitare che la situazione si complicasse. Fortunatamente sono riuscito ad arrivare in Italia». 

Soltanto dopo alcuni anni, una volta riconosciuto l’asilo politico, Khan è riuscito a farsi raggiungere dalla famiglia prima in Sardegna, a Cagliari, nel 2020, per poi raggiungere la Calabria diventando ospiti dal 2021, a Sant’Ilario, del progetto di accoglienza SAI-Ferruzzano.

«Questi progetti - spiega Nicola Papandrea, coordinatore del progetto SAI-Ferruzzano - hanno l’importante finalità di far ottenere ai beneficiari la piena autonomia sul territorio italiano. Questo obiettivo viene garantito a tutti tramite una serie di interventi materiali quali la disponibilità di un alloggio, l’erogazione del vitto e del pocket money; viene inoltre garantita una mediazione linguistica e culturale e, chiaramente, l’accesso ai servizi del territorio quali scuole, ufficio postale, comune e, soprattutto, viene garantito l’accesso al servizio sanitario».

All’intero dei progetti di accoglienza, che hanno una durata contrattuale che può variare dai 6 mesi ai 2 anni, non mancano poi le attività di formazione volte a sviluppare le competenze e le capacità professionali dei beneficiari del progetto. «L’obiettivo principale - sottolinea Papandrea - è proprio quello di fornire loro gli strumenti necessari affinché, terminato questo percorso, possano più agevolmente inserirsi nel contesto lavorativo, potendo sostenere in autonomia le spese di una sistemazione alloggiativa e integrandosi così anche nel tessuto sociale del territorio. Noi operiamo sul territorio di Sant’Ilario dal 2016 e abbiamo visto passare da noi tanti beneficiari, molti dei quali hanno avuto la forza e l’opportunità di trovare una sistemazione lavorativa sul territorio, sono andati a scuola, hanno preso la patente, insomma, sono diventati cittadini santilariesi». 

Oggi la famiglia Matloob può contare su una maggiore tranquillità, nonostante le difficoltà e gli ostacoli di chi inizia una nuova vita in nuovo Paese e dovendo fare comunque

i conti con una grave malattia che ha colpito il signor Matloob. «Vorrei ringraziare tutti gli operatori del progetto - ha commentato - dovrò continuare a curarmi e spero di poter restare qui in Calabria, a Sant’Ilario. Ci troviamo bene, la gente è gentile e disponibile con tutti noi. Ciò che desidero è un futuro per i miei bambini».