Franco Capalbo analizza le zone d’ombra di un’industria che non dà abbastanza al territorio e «genera sfruttamento». La proposta: «Bisogna coinvolgere gli abitanti, valorizzare i borghi e creare equilibrio tra uomo, natura, economia e lavoro»
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Si può vivere di solo turismo? Il turismo fa veramente bene al territorio e ai cittadini? Nel suo libro appena pubblicato, dal titolo “Perché la Calabria non dovrebbe campare solo di turismo” (Vintura, 2024), il giovane studioso calabrese Franco Capalbo affronta il concetto di turismo in modo assolutamente inedito, e anche di rottura.
Capalbo, laurea triennale in Scienze Turistiche e laurea magistrale in Valorizzazione dei Sistemi Turistico Culturali all’Università della Calabria, è cultore della materia del corso Turismo, Formazione e Occupazione presso il medesimo ateneo. Studia il turismo da un punto di vista critico, con particolare interesse nei confronti delle relazioni tra il turismo moderno, il capitalismo e le dinamiche occupazionali legate a tale settore. Capalbo ama profondamente la Calabria, terra in cui è nato.
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Nel suo lavoro, Capalbo è netto e chiaro nel sostenere che non campiamo di turismo. Affrontiamo il discorso con lui per capire è se può dimostrare l’affermazione che l’industria turistica arricchisce quasi sempre poche persone, mentre distrugge territori e sfrutta lavoratori.
«In effetti, chi ci guadagna davvero con il turismo globale non sono aziende del territorio, oppure lo sono soltanto in minima parte. A soffrire (e spesso a chiudere) sono i negozi, le infrastrutture e i servizi destinati ai residenti. Per questo il turismo va pianificato e progettato insieme agli abitanti, che devono essere compartecipi di cosa accade nei luoghi dove vivono. L’industria turistica, poi, genera condizioni di sfruttamento per migliaia di lavoratori: nel volume tutto ciò è confermato dai risultati di alcuni questionari somministrati agli stagionali del turismo».
In passato, turismo significava andare alla scoperta di luoghi sconosciuti, anche allo scopo di accrescere il proprio bagaglio culturale e di scoprire usi, tradizioni e costumi diversi. Da tanti anni il turismo appare fortemente cambiato. Prevalgono il consumismo, gli eccessi.
«Oggi, purtroppo, siamo immersi nel consumismo più sfrenato. Dal Cogito ergo sum di Cartesio siamo passati al Consumo dunque sono (titolo di un libro di Bauman). Nel mio lavoro faccio un parallelismo tra i viaggi di Goethe e Stendhal in Italia, i quali ammiravano e contemplavano i luoghi visitati con assoluto rispetto, e le pratiche odierne del turismo di massa, sempre più frenetiche, standardizzate e superficiali».
Altra cosa da capire con il giovane studioso è se il turismo incida davvero per il 13-14% nell’economia nazionale. Numeri importanti.
«In primis è necessario considerare la trasversalità del settore turistico. Il calcolo che in genere viene fatto per stabilirne la sua incidenza sul Pil non tiene conto di tale eterogeneità, ma contabilizza in modo generico le varie spese. Al di là di questo, credo che la ricerca ossessiva del miglioramento degli indicatori economici debba essere messa in secondo piano e, piuttosto, bisogna creare un giusto equilibrio tra uomo, natura, economia e lavoro».
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Nel lavoro di ricerca si parla del Paese più bello del mondo che si specchia nella sua immagine turistica, spesso narrata e mai descritta in modo oggettivo. Capalbo arriva a sostenere che si tratti di una mistificazione ossessiva e compulsiva, una propaganda che nasconde in soffitta alcuni effetti del turismo moderno.
«Le bellezze del nostro Paese non sono certamente opinabili e neppure messe in discussione. Ciò che critico è la narrativa costruita intorno al turismo, sempre più unidirezionale e fintamente ottimista. Nel mio lavoro tento di far emergere tante zone d’ombra (come lo sfruttamento di territori, ambiente e forza lavoro) che non vengono quasi mai citate e descritte».
Il turismo può rientrare in quelli che Marcel Mauss definisce fatti sociali totali, dei fatti, cioè, strettamente connessi alla società e attraverso cui si può dare una chiave di lettura della società stessa.
«Il turismo è un fenomeno sociale, e influenza direttamente la società. Faccio un esempio concreto. Negli ultimi mesi si parla con insistenza di misure da adottare per scongiurare l’overtourism in alcune città italiane ed europee mete del turismo di massa (come Venezia o Barcellona), e si assiste a numerose proteste dei residenti contro l’eccesso di turismo che finisce per deteriorarne la qualità della vita. Sono tutte spie di allarme in una società che non può crescere a dismisura senza considerare gli effetti negativi e perversi del turismo».
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La Calabria è meta di un turismo confuso e confusionario, quasi totalmente concentrato in agosto. E questo non fa della nostra regione una terra esattamente a vocazione turistica.
«La Calabria ha puntato da sempre sul turismo balneare. Nel 2019 le località marine, dello Ionio e del Tirreno, hanno totalizzato il 91,6% delle presenze complessive dell’intera regione. Ciò causa una forte stagionalità. Questo è un paradosso, considerando la grande e variegata ricchezza paesaggistica della nostra terra: perché non programmare un’offerta turistica diversificata e rispettosa dell’intero patrimonio regionale?».
Oggi si parla tanto di turismo delle radici. Potrebbe essere un nuovo modo di fare turismo. Così come nella nostra regione si parla tanto di investire nel turismo religioso, nei borghi…
«I turisti delle radici sono spinti al viaggio da un sentimento molto nobile: la riscoperta degli affetti familiari. Questo aspetto stimola una maggiore coscienza dei luoghi e delle loro specificità. Certamente può essere una forma di turismo alternativa. I piccoli borghi calabresi sono contenitori di saperi, sapori e culture millenarie. È fondamentale contrastarne lo spopolamento e l’erosione identitaria che stanno vivendo, e valorizzare le radici può essere una soluzione percorribile».
Secondo Daniel Boorstin, l’esperienza turistica odierna è «diluita, artificiosa e prefabbricata». Lo stesso Boorstin ha introdotto il concetto di pseudo-eventi, intesi come attività non spontanee.
«La maggior parte delle esperienze turistiche, propagandate come autentiche, sono in realtà frutto di un processo di costruzione artificiale. Oggi tutto è programmato, scandito nei minimi termini, e pensato per soddisfare quelli che apparentemente sembrerebbero i nostri desideri (ma che in realtà spesso sono bisogni artificialmente indotti). Sarebbe necessario, invece, rallentare, godersi il viaggio, i posti, le persone e anche gli imprevisti».
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Gli imprenditori del settore parlano di mancanza di manodopera e soprattutto di personale qualificato. Eppure sono tante le denunce per le pessime condizioni di lavoro di migliaia di lavoratori.
«Tanti lavoratori decidono di abbandonare il settore turistico a causa dello sfruttamento massiccio al quale sono sottoposti. Negli ultimi anni hanno preso piede alcune associazioni di categoria e movimenti di lavoratori del turismo (come l’Osservatorio sullo sfruttamento in Calabria). La speranza è che si possa ottenere una maggiore tutela contrattuale e lavorativa».
Nel libro di Franco Capalbo si sostiene che il turismo debba ripartire da nuovi modelli alternativi, pensati dalle persone per le persone, rispettando comunità e luoghi. La cosiddetta offerta turistica dovrebbe, dunque, edificarsi dal basso, ossia essere espressione delle comunità locali.
«Nella parte finale del libro menziono alcuni casi studio che offrono alternative concrete al turismo di massa. Sono esempi pratici di un turismo che vorrei definire sociale, improntato su 4 parole chiave: accoglienza, ospitalità, inclusione e valorizzazione delle culture locali. Il turismo dovrebbe ripartire dalle piccole realtà, dalle esigenze dei residenti, dall’importanza dell’abitare e del vivere, nel pieno rispetto delle risorse naturali».