«Non mi interesso mai del lavoro degli altri magistrati». Nicola Gratteri, procuratore capo della Dda di Catanzaro, gela i conduttori della trasmissione Forrest (Rai Radio 1) di cui è ospite. I giornalisti Luca Bottura e Marianna Aprile gli hanno appena chiesto di commentare l’arresto del boss Matteo Messina Denaro.

L’intervista si sposta allora su un altro tema caldo di questi giorni: le intercettazioni e le polemiche nate intorno al ministro della Giustizia (ed ex magistrato pure lui) Carlo Nordio che qualche giorno fa, intervenendo alla Camera, aveva affermato: «Se non impediamo gli abusi delle intercettazioni, cadremo in una democrazia dimezzata». Nordio poi era tornato sull’argomento a più riprese e con affermazioni altrettanto forti: «L’Italia non è fatta soltanto di pm antimafia che vedono boss ovunque». E ancora: «I mafiosi non parlano al telefono».

Dai microfoni di Rai Radio 1, Nicola Gratteri commenta: «Svolgo questo lavoro dal 1986, sono abituato a frasi del genere. Ritengo tuttavia che da parte di Nordio sia stato ingeneroso oltre che superficiale parlare in modo tanto generico nei confronti della magistratura antimafia. Forse, il ministro non conosce i sacrifici che, da decenni, affrontiamo tutti i giorni. Ragion per cui – continua il procuratore capo di Catanzaro  – lo inviterei a essere in futuro molto più prudente e a informarsi sulla vita degli altri prima di parlare».

Dopo questa breve premessa, l’intervista radiofonica entra nello specifico. I due conduttori sollecitano Gratteri sull’eventuale riforma dello strumento delle intercettazioni che, queste almeno le intenzioni del ministro Nordio, dovrebbero riguardare soltanto mafia, terrorismo e reati a essi satelliti. Nicola Gratteri esprime perplessità. «Le intercettazioni dei reati legati alla pubblica amministrazione che fine faranno? Il ministro Nordio e i suoi suggeritori devono sapere che in certe aree geografiche del Paese sono proprio questi reati che permettono alla magistratura di arrivare alla criminalità organizzata». Nel passaggio successivo, Gratteri rincara la dose: «Ormai è sempre meno netta la cesura tra mafia e colletti bianchi che dialogano tra loro grazie alla mediazione delle logge massoniche deviate. E' inconcepibile che ci sia un taglio alle intercettazioni o una modifica normativa per impedire che si facciano intercettazioni nei confronti dei colletti bianchi della pubblica amministrazione. La ‘ndrangheta – sono ancora parole del procuratore Gratteri – oltre a essere un fenomeno globale, riguarda da vicino il nord Italia, incluso il Veneto che è la regione da cui proviene il ministro Nordio. Quindi, attenzione a pronunciare certe frasi o a tentare di nascondere la polvere sotto al tappeto».

E quando, durante la trasmissione radiofonica, gli fanno notare che da tempo si parla della necessità di vietare la pubblicazione delle cosiddette “intercettazioni a strascico” che non hanno rilevanza penale e che riguardano soggetti neppure indagati, Nicola Gratteri puntualizza: «Le garanzie normative esistono già. La legge Orlando e la riforma Cartabia impediscono la pubblicazione delle captazioni che non riguardano il corpo del reato. Se ci sono violazioni in tal senso, si devono mandare gli ispettori e si deve aprire un fascicolo per fuga di notizie».

L’ultimo passaggio dell’intervista riguarda l’ergastolo ostativo. Il procuratore capo di Catanzaro sottolinea: «La mia posizione è chiara da sempre. Un mafioso finisce di essere tale soltanto se muore o decide di collaborare. Uno ‘ndranghetista è capace di comandare con lo sguardo e pure stando sulla sedia a rotelle e non può certo dire che ha paura di pentirsi perché lo Stato sa come difendere i collaboratori di giustizia e provvede anche al loro mantenimento economico». La giornalista Marianna Aprile gli domanda: «Non crede che il “fine pena mai” sia in contrasto con la Costituzione?». Nicola Gratteri (tranquillamente) replica: «Il detenuto è libero di scegliere. Se non collabora, il fine pena mai rappresenta la conseguenza di una sua scelta».