Li si può incontrare al mattino, a sbirciare dietro il recinto di un orto o a parlare con contadini e pastori. Sono in sette e, fianco a fianco in formazione, battono le campagne attorno alla fiumara del Torbido alla ricerca di tracce delle civiltà che hanno popolato quegli stessi luoghi in passato. Sono in sette: un professore, un ricercatore e una manciata di studenti, calati dall’università di Genova fino nella Locride nell’ambito di un progetto di ricerca coordinato dalla soprintendenza e supportato dai comuni di Gioiosa, di Marina e di Martone. Un progetto di durata triennale e che va simbolicamente a chiudere il cerchio di una ricerca che ha già interessato, negli anni passati e sotto le insegne della scuola Normale di Pisa, le antiche città di Locri e Kaulon.

Tra contadini e pastori

Gli archeologi lo chiamano “survey”: un metodo che ha preso piede negli ultimi 40 anni e che consiste in lunghe e faticose ricognizioni “sul campo” alla ricerca di quelle tracce di superfice – cocci, monete, pezzi di corredi funerari – che potrebbero indicare la presenza di antichi insediamenti. Un metodo fatto di scarpinate in mezzo agli ulivi e tra gli aranceti, battendo il terreno palmo a palmo su quello che era il territorio attorno al fiume che le antiche popolazioni del luogo chiamavano Pretoriate. E non è raro che siano i moderni abitanti del posto a suggerire agli storici i luoghi che potrebbero interessare la ricerca. Pastori e contadini (almeno i pochi rimasti) sono infatti quelli che meglio di tutti conoscono il territorio ed è con loro che gli storici si confrontano quasi tutti i giorni. Anche solo per chiedere il permesso di passare tra  pomodori  e zucchine protetti da un confine recintato.  

In cammino tra i campi

Meno invasivo – e decisamente meno costoso – del sistema dello scavo classico, il survey consente agli archeologi di mappare minuziosamente il territorio annotando ogni pezzettino di passato rispuntato dalla lavorazione del terreno. Un lavoro propedeutico ad un eventuale futuro scavo e che consente agli storici di capire meglio come fossero strutturate le civiltà che, negli ultimi due millenni, hanno abitato questo pezzetto di Calabria. Focus di questo progetto infatti non sono i grandi insediamenti – già abbondantemente scandagliati nell’ultimo secolo e mezzo – quanto le stratificazioni sociali che attorno a quei grandi insediamenti orbitavano. Fattorie, piccole fornaci, palmenti: tutti elementi, non solo di età antica, che contribuiscono a scrivere una nuova pagina di un passato che appare sempre più lontano.

Ospitato in una villetta a Marina di Gioiosa, il gruppo di storici è guidato dal professore Antonino Facella, già protagonista con la Normale di Pisa di una serie di campagne archeologiche negli insediamenti ellenici sullo Jonio reggino. Con lui anche il giovane ricercatore medievista Giuseppe Hyeraci, che da queste parti ci è nato e che ora guida gli studenti genovesi tra le meraviglie della valle del Torbido. «Il lavoro è semplice, per quanto faticoso – racconta il professore Facella alla fine della riunione operativa per il lavoro del giorno successivo – prima controlliamo sulle mappe il  territorio che vogliamo sondare e la mattina successiva usciamo per queste ricognizioni sul campo. Poi, una volta tornati a casa, annotiamo tutte le testimonianze che siamo riusciti a trovare indicandone l’esatta posizione. Da pochi frammenti, spesso riusciamo a capire se si tratta di un insediamento vero e proprio, magari da approfondire in futuro, o di un ritrovamento dettato dal caso. È un lavoro lungo ma che, in pochi giorni, ha già dato qualche risultato confortante».

Sul muretto di una villetta a due passi dal mare, decine di frammenti di ceramiche antiche, alcune di fattura bizantina altre più recenti, sono messi ad asciugare al sole dopo essere stati catalogati. Sono il frutto dei primi tre giorni di “survey” in campagna. E pazienza se, in qualche caso, si è dovuto “invadere” un orto.