Il responsabile calabrese di Sigea Gaetano Osso commenta gli eventi di questi giorni: «C'è la chiara volontà di distruggere un patrimonio». E le conseguenze possono essere gravissime (ASCOLTA L'AUDIO)
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Un’estate da record. Ma in negativo. Caldo record, incendi record. «Nel nostro Paese, dall’inizio dell’anno, sono bruciati circa 110.000 ettari di terreno, un'area grande quanto 145mila campi da calcio: il quadruplo rispetto ai 28.479 ettari arsi, in media, ogni anno dal 2008 al 2020. Finora nella Penisola sono scoppiati oltre 400 incendi di grandi dimensioni (oltre i 30 ettari), contro una media di 224 nel periodo 2008-2020. A dare i numeri è l'European forest fire information system (Effis) della Commissione europea: rivela che l’Ue sta bruciando a un ritmo doppio rispetto agli anni scorsi e che Grecia ed Italia comandano questa drammatica classifica. Senza ricordare lo straziante bilancio degli animali selvatici che hanno perso la vita: circa 2.000.000». A snocciolare questi dati è Massimiliano Fazzini, coordinatore del team sul Rischio cambiamento climatico della Società italiana di geologia ambientale (Sigea), climatologo e docente dell’Università di Chieti, commentando l’emergenza incendi di questi giorni.
Riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente come “associazione di protezione ambientale a carattere nazionale”, la Sigea è guidata in Calabria da Gaetano Osso, geologo impegnato sul fronte della difesa del territorio. La voce carica di rabbia all’altro capo del telefono è quella di chi certe ferite le sente sulla propria pelle, e non per un’astratta sensibilità ma per la chiara e razionale consapevolezza di quanto il nostro benessere sia legato a quello del mondo che ci circonda. «Bisogna partire da questo trinomio: conoscere, valorizzare, tutelare», afferma.
L’esatto contrario di ciò che è avvenuto in questi giorni in cui mani criminali hanno devastato un’intera regione. «Gli incendi - afferma Osso - sono partiti da più punti e questo testimonia la chiara volontà di distruggere le aree boscate. Io ho visto con i miei occhi alcuni di questi inneschi che sono stati ritrovati e che non hanno funzionato: si tratta di sistemi rudimentali ma efficacissimi, perché danno all’incendiario il tempo di allontanarsi indisturbatamente dato che le fiamme partono dopo una o due ore».
«Disegno criminoso»
Un «disegno criminoso scientificamente architettato» lo definisce Osso. «La gran parte di questi incendi viene appiccata nel tardo pomeriggio e la sera, quando i canadair o altri mezzi hanno più difficoltà a intervenire perché è buio».
A chi giova tutto ciò? Sicuramente non alla popolazione calabrese, che sarà invece costretta a pagare gli effetti a breve e a lungo termine, quando non a pagare con la vita come purtroppo avvenuto nei giorni scorsi. «Innanzitutto ci sono gli effetti sulla matrice dell’aria», spiega il presidente di Sigea Calabria. «Soprattutto nelle aree in cui ci sono rifiuti abbandonati e si possono sviluppare diossina e altre sostanze cancerogene, questo è uno degli effetti immediati».
E poi ci sono le conseguenze del disboscamento. «Le radici non sono più in grado di trattenere il terreno. In una regione come la nostra dove le montagne sono a picco sul mare o sulle vallate dei fiumi è facile che si verifichino delle frane. Quando arriveranno le piogge, le acque che non sono più trattenute dal sottobosco provocheranno un’erosione accelerata, quindi frane che finiscono nei fiumi e possono causare alluvioni. Frane che finiscono a valle, nei centri abitati, con rischio per la popolazione».
Nessuno scenario pessimistico, ma solo la cruda fotografia della realtà, sottolinea Osso: «Queste cose purtroppo avverranno. Il geologo spesso viene additato come una cassandra, ma si tratta solo di una concatenazione di causa-effetto che il geomorfologo legge prima di altri».
«Suolo non più protetto»
E il rischio non è neanche così lontano. Già dalla prossima settimana è previsto un cambio delle condizioni meteorologiche, con nubifragi in arrivo. «Il rischio è immediato perché il suolo non è più protetto. Qualsiasi pioggia intensa che arriverà domani o fra tre mesi può provocare erosioni che possono portare alluvioni».
Un rischio che non riguarda un territorio in particolare, spiega Osso: «Noi abbiamo una situazione grave di rischio idrogeologico: in Calabria tutti i comuni sono a rischio perché per costituzione e genesi questa regione è fragile. Ora abbiamo distrutto anche la vegetazione che abbiamo creato in tanti anni quindi il rischio si è ingigantito».
Adesso c’è da mettere un territorio in sicurezza. E la sfida, conferma il presidente di Sigea Calabria, non è affatto semplice. «Non ci sono interventi risolutivi che si possono fare nell’immediato a meno di avere grandi risorse e grandi uomini. Ma d’altronde da qui a una settimana come si fa a far ricrescere quello che è stato bruciato? Uno studio dell’università di Palermo parla di dieci anni per ristabilire le condizioni minime affinché possa essere ripristinata la vegetazione».
In fiamme l'ecosistema
E non è solo la vegetazione a essere andata in fumo. «Quando succedono cose come quelle di questi giorni non bruciano solo gli alberi, brucia un intero ecosistema. L’Agenda 2030 dell’Onu dice che se il pianeta sopravvive, sopravvive anche la razza umana: invece noi stiamo uccidendo il pianeta».
E qui il discorso si intreccia inevitabilmente a quello dei cambiamenti climatici. Fino a un certo punto, però, avverte Osso. «Bisogna distinguere tra cause predisponenti e cause determinanti. Tra le prime ci sono sicuramente il caldo e la siccità frutto dei cambiamenti climatici. La causa determinante però è la mano dell’uomo».
La domanda è: a chi giova? «Non riusciamo a vedere altro in tutto ciò se non un’intimidazione allo Stato», dice il geologo. «Si sta attentando a un bene naturale che vale quanto un bene culturale se non di più».
Pene più severe
Cosa fare, dunque? Lavorare sulla prevenzione, sicuramente. «Servono di certo più risorse umane ed economiche per prevenzione e controlli. E poi un inasprimento delle pene».
Osso cita anche il “modello Aspromonte”, messo in piedi da Tonino Perna ai tempi in cui fu presidente del Parco. «Non sappiamo perché sia stato abbandonato, il dato di fatto è che quel modello ha funzionato».
E poi esistono interventi che, in caso di incendi, possono limitare i danni. Come le piste tagliafuoco: strisce realizzate all’interno del bosco in modo da dividerlo in lotti e rendere più difficile la propagazione delle fiamme da una sezione all’altra. Ma si tratta comunque di interventi che non risolvono il problema. E il problema, rimarca Osso, è l’uomo che non comprende la portata delle sue azioni. «Quando è in atto un disegno criminoso anche la prevenzione serve a poco: prima o poi l’assassino troverà la sua vittima. Siamo arrivati a minacciare le faggete vetuste, patrimonio dell’umanità. In Calabria abbiamo tante ricchezze da salvaguardare, ma se continuiamo così perderemo tutto in maniera irreversibile».