VIDEO | La storia del 60enne di Paola che grazie a una nostra inchiesta è riuscito a ricostruire la sua vita dopo 14 anni di solitudine e povertà. Il Comune gli ha assegnato un piccolo appartamento confiscato alla mafia e i suoi parenti sono tornati a riabbracciarlo. «Ho riconquistato la mia dignità»
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Si presenta all'appuntamento con un cappotto elegante a costine nere di raso, ha il viso disteso e sbarbato e il sorriso contagioso di chi ha provato la gioia di tornare a vivere dopo aver passato le pene dell'inferno. È quasi impossibile riconoscerlo. L'uomo che si precipita dall'auto quando ci vede arrivare, nonostante la pioggia battente, è Pietro Pace, il 60enne che fino a 11 mesi fa viveva in una baracca di legno e lamiere allestita alle spalle della stazione di Scalea.
Era lì da 14 anni, in uno stato di salute precaria, ormai rassegnato a un destino che nei suoi confronti non era stato troppo clemente. La sua vita cambia una mattina di gennaio di quasi un anno fa, quando le telecamere del network LaC irrompono nella sua esistenza andando a documentare la situazione di povertà e di degrado alla quale era costretto, condizione che si era consolidata negli anni anche per colpa dell'indifferenza delle istituzioni locali e di tanta gente che sapeva, vedeva, ma si era girata dall'altra parte. Quelle immagini, forti come un pugno allo stomaco, hanno fatto rapidamente il giro del web, suscitando al tempo stesso indignazione e commozione. Meno di 15 giorni più tardi, il Comune di Scalea gli ha assegnato un piccolo appartamento confiscato alla mafia. E quel giorno Pietro è nato per la secondo volta.
Un uomo nuovo
Pietro Pace ora vive al quinto piano di una palazzina nel cuore di Scalea, in un appartamento di pochi metri quadri che una volta ospitava una famiglia di camorra. «Per me è una reggia», ci dice aprendo la porta. Dentro, ad attenderlo, ci sono due suoi amici che sono passati a trovarlo e stanno attendendo il suo arrivo. «Questo sarà il mio primo vero Natale - confessa -. Un anno fa vivevo ancora in strada, tra animali selvaggi e immondizia, non sapevo nemmeno che fosse il 25 dicembre e come tutti gli altri giorni lo passai da solo, con la morte nel cuore».
Il suo racconto si interrompe, ha la voce rotta dall'emozione, mentre una lacrima scivola giù e gli riga il volto. Qualche secondo dopo torna in sé, ci racconta di come riesce a guadagnarsi da vivere con dei piccoli lavoretti: «Sono anche riuscito a comprare una lavatrice - dice sorridendo - adesso non devo più lavare i miei vestiti a mano». Ci offre il caffè, parla del suo desiderio di innamorarsi e ci mostra il piccolo terrazzo dal quale osserva il mondo, con occhi nuovi. Poi il suo volto diventa serio. Ha lo sguardo fisso, guarda nel vuoto. «Da quando ho un tetto sulla testa - dice senza scomporsi - ho capito il significato della parola libertà. Anche prima potevo fare quello che volevo, ma mi sentivo legato, sentivo un vuoto dentro di me. Ho scoperto che ciò che rende liberi per davvero è la dignità».
L'abbraccio ai fratelli dopo anni di solitudine
Fino a un certo punto, Pietro Pace ha condotto un'esistenza del tutto normale. È un uomo spostato e dal suo matrimonio nascono tre figli. Poi, un giorno, rimane vittima di un grave incidente stradale ed è l'inizio della fine. Rimane in ospedale per mesi e proprio in quel periodo si separa dalla moglie perché sospetta che l'abbia tradito con il suo migliore amico.
Ma non è finita, perché sua moglie se ne va di casa e porta via anche i suoi figli, negando al padre la possibilità di vederli. Pietro è devastato dal dolore e perde letteralmente la testa. Dopo aver perso anche il lavoro, abbandona tutto e va a vivere nella baracca che per 14 anni diventerà la sua casa. E qualche tempo dopo interrompe i rapporti con chiunque. Anche con la sua famiglia d'origine.
Quando però la sua storia diventa di pubblico dominio, quelle immagini che lo ritraggono nella sporcizia, all'acqua e al gelo, arrivano anche a una delle sue sorelle. La donna, immediatamente, telefona agli uffici dei Sevizi Sociali del Comune di Scalea e chiede di potersi mettere in contatto con il fratello. Per Pietro è un'emozione indescrivibile. «Quando ho rivisto la mia famiglia, che vive fuori dalla Calabria, è come se tutti quegli anni non fossero mai passati». Di anni, di preciso, ne sono passati 8. «Quando la mia storia è diventata pubblico, so che mio padre stava già male, ma ha chiesto di vedere le immagini del servizio. Purtroppo non ho fatto in tempo a riabbracciarlo ma sono riuscito ad andare al suo funerale».
«Aiutate gli altri senzatetto»
Quest'anno per Pietro sarà un Natale finalmente sereno. «Le mie sorelle verranno a prendermi e lo passerò con loro. Non vedo l'ora». Ma quando gli chiediamo quale regalo vorrebbe ricevere, risponde: «Il regalo più bello l'ho già avuto quando sono entrato in questa casa, che mi ha restituito la mia dignità di uomo. Non ho più bisogno di niente. Sarebbe però un bel regalo se gli altri senzatetto trovassero una sistemazione, se avessero anche loro un po' della mia fortuna». Quali senzatetto? «Qui, a Scalea, ne conosco tanti. Alcuni sono miei amici. Sono tutti accomunati da un destino crudele. C'è chi ha perso tutto, chi viene da un Paese straniero, chi non riesce più a vivere. Mi promettere che andrete a cercarli?».